Nel leggere le notizie su ciò che sta avvenendo dentro e attorno alla Deutsche Bank, la più grande banca dell’Europa continentale, verrebbe da dire che “il re è nudo”. Come forse si ricorderà, la Deutsche Bank nel 2011 fece schizzare in alto il differenziale tra il nostro Bpt e il Bund tedesco vendendo in sei mesi più di 7 miliardi di titoli di Stato italiani (quasi il 90% di quelli che deteneva), cosa che provocò lo sdegno di Romano Prodi per la violata solidarietà europea.

A proposito di solidarietà, è interessante il caso della Grecia. Secondo la Bank for International Settlements, l’organismo internazionale cui partecipano una sessantina di Banche centrali, alla fine del primo trimestre 2011 le banche francesi erano esposte verso la Grecia per 56,9 miliardi di dollari, la Germania per 234.8 miliardi, l’Italia per 4,5 (ora il nostro concorso al salvataggio si aggira attorno ai 40 miliardi).

A quell’epoca, Deutsche Bank era esposta per 2,5 miliardi di dollari; ora, secondo un rapporto Reuters lo sarebbe solo per circa 300 milioni di euro, mentre a circa 15 miliardi ammonta l’esposizione della KfW, la Banca per la Ricostruzione posseduta dallo Stato, una specie di nostra Cassa Depositi e Prestiti, ma il cui debito non rientra in quello pubblico a differenza di quello della Cdp.

Nonostante questi “aiutini”, già da diverso tempo gli analisti predicevano grossi problemi per la banca tedesca, sottocapitalizzata e con una leva altissima, redditività in continuo calo e del tutto insoddisfacente nella parte dedicata al credito normale, sbilanciata verso la attività di banca d’affari, più redditizia ma molto più rischiosa. Questa bipartizione dell’operatività si rifletteva nella diarchia di governo, ma dopo una contestatissima assemblea degli azionisti in maggio, ora entrambi gli amministratori sono dimissionari.

Una tempesta annunciata e anche Angela Merkel si è detta non sorpresa di quanto stava accadendo, pur dichiarando di non voler commentare, trattandosi di una società privata. Forse la Cancelliera ha dimenticato che era privata anche quando è stata salvata a spese dei contribuenti europei, tedeschi inclusi. Un salvataggio che non pare abbia convinto gli investitori, dato che le quotazioni in Borsa la valorizzano al 50% del suo capitale: “una valutazione più consona a una piccola Popolare italiana che a un colosso dell’investment banking”, osserva maliziosamente Il Sole 24 Ore. A me sembra più calzante il paragone con Mps, visto che uno dei due amministratori è sotto processo per falsa testimonianza, gli uffici in Germania e in altri Paesi sono stati un questi giorni setacciati dalla polizia e vi sono indagini per evasione fiscale da parte di clienti della banca, che per il momento non è sotto accusa, e sui media vi sono voci di riciclaggio di soldi russi.

La Deutsche Bank ha già speso più di 7 miliardi di euro per vari contenziosi ed è stata multata per 2,5 miliardi di dollari dalle autorità di controllo inglesi e americane per le manipolazioni del tasso interbancario Libor. Inevitabile il declassamento di S&P a un non esaltante BBB+, tre “tacche” sopra i titoli “spazzatura”.

Il nuovo amministratore, l’inglese John Crayn, si trova di fronte a un’impresa piuttosto difficile o, almeno, ritenuta tale da molti analisti, che evidenziano un certo ritardo della Germania, rispetto ad altri paesi europei, nel porre mano a una riforma del sistema bancario. Finora la forza dello Stato e del sistema economico ha coperto i gravi problemi delle banche tedesche, ma sembra che ora i nodi vengano al pettine.

La vicenda Deutsche Bank ha per la Germania anche notevoli aspetti simbolici. Un recente articolo apparso su Spiegel Online a firma Roland Nelles è intitolato “Nuovo capo alla Deutsche Bank: Aiuto, un inglese!” Il titolo è scherzoso, ma il contenuto è molto serio e descrive la fine di un epoca per la DB e non solo, perché Nelles sottolinea come in tempi di globalizzazione, un fenomeno da cui l’economia tedesca ha tratto notevolissimi vantaggi, non abbia più importanza la nazionalità del capoazienda.

Questo sviluppo appare drammatico a chi considerava la Deutsche Bank come una istituzione nazionale, alla stregua della Lufthansa, la Mercedes o la nazionale di calcio, ma soprattutto perché la banca rappresentava un punto di incrocio importante tra economia e politica, giocando un ruolo rilevante all’interno del sistema tedesco.

Davvero Angela Merkel continuerà a considerare la questione come privata? Non è pensabile e sarà bene cominciare a metterci sulla difensiva e dire chiaro e forte a Berlino che abbiamo già dato.