Una recente analisi condotta dall’istituto di ricerca austriaco Wifo per la Lena (Leading European Newspaper Alliance, un network che raggruppa sette testate europee, compresa l’italiana Repubblica)ha dato una stima dei costi per i Paesi dell’Ue delle sanzioni contro la Russia ben diversa dalle tranquillizzanti dichiarazioni di Bruxelles. Nella citata analisi, l’Italia risulta particolarmente danneggiata e, anche se le stime del rapporto fossero eccessive, non vi è dubbio che interi settori della nostra economia sono stati duramente colpiti da queste sanzioni, a partire dall’agroalimentare.
Il perdurare del conflitto in Ucraina e la disastrosa situazione della sua economia, malgrado le promesse di aiuto dell’Ue, pongono la domanda sull’opportunità delle sanzioni, che la storia ha ripetutamente dimostrato senza efficacia reale. C’è da porsi anche la domanda se le sanzioni valgano per tutti o se l’Europa sia come la orwelliana Fattoria degli animali, in cui alcuni sono “più uguali” degli altri.
Il riferimento è alla firma dell’accordo su una cooperazione strategica a largo raggio tra Gazprom e Shell, avvenuta la settimana scorsa a San Pietroburgo, che ha fatto parlare di un accordo “alla faccia” delle sanzioni, salvo poi scoprire che contro Gazprom vi sono sì le sanzioni degli Stati Uniti, ma non quelle dell’Ue.
In un’intervista alla Reuters, il capo di Gazprom, Alexei Miller, ha definito quella con Shell una partnership strategica globale per operare in un mercato del gas che è ormai mondiale, riconoscendo al gruppo anglo-olandese una tale dimensione, soprattutto se andrà a buon fine l’acquisizione della British Gas. In attesa di questi sviluppi strategici, sono stati avviati accordi su punti più specifici, come la costruzione di un terzo impianto di liquefazione del gas sull’isola di Sachalin, che aumenterà del 50% la capacità produttiva di questo impianto, l’unico della Russia.
Ancora più significativa è la firma, nella stessa occasione, con Shell, la tedesca E.ON e l’austriaca OMV di una lettera di intenti per il raddoppio del Nord Stream, il gasdotto che porta il gas russo in Germania, passando sotto il Baltico, con un investimento di una decina di miliardi di euro. Nel comunicato congiunto, le tre compagnie occidentali si sono trovate d’accordo con Gazprom nel definire l’operazione una via sicura e conveniente per assicurare la fornitura di gas all’Europa, di fronte alla progressiva riduzione della produzione europea.
Insomma, sanzioni o no, c’è chi può e, a costo di ripetermi, è difficile pensare che la presenza dell’ex cancelliere Schroeder, su invito di Gazprom, ai vertici del consorzio Nord Stream non abbia nulla a che fare con la vicenda e con l’esclusione di Gazprom dalle sanzioni Ue. Inglesi, olandesi, tedeschi e austriaci, con questa operazione, non solo si assicurano le forniture di gas, ma annullano in buona parte l’effetto delle sanzioni da loro stessi votate, permettendo alla Russia di recuperare vendite di gas perdute per il conflitto in Ucraina. Quest’ultima, il cui contratto con la Russia scade nel 2019, difficilmente migliorerà la sua situazione perdendo l’attuale valenza strategica per il transito del gas russo verso l’Europa.
L’accordo ha provocato qualche preoccupazione a turchi e greci, che hanno visto il nuovo Nord Stream come una possibile alternativa al Turkish Stream, il gasdotto che, sottopassando il Mar Nero, dovrebbe portare il gas russo in Turchia e da qui, attraverso la Grecia, in Europa. Il capo di Gazprom si è tuttavia affrettato a dichiarare che il progetto va avanti e i lavori dovrebbero iniziare entro questa estate.
In questa Fattoria degli animali europea l’Italia non è certamente tra i più uguali, ma potrebbe almeno ricordare ai “più uguali” che nella precedente edizione del Nord Stream erano coinvolte anche aziende italiane, come Saipem e Snamprogetti. Sperando che non siano già state tacitamente sostituite da aziende anch’esse “più uguali”.