La vicenda greca sembrerebbe dare ancora una volta ragione ai tanti economisti che non considerano l’euro un fenomeno economico, ma piuttosto politico, sottolineando come l’unione monetaria dovrebbe essere preceduta, e non precedere, l’unità politica. Il problema dell’euro e più in generale dell’Unione europea è, fin dall’inizio, di natura geopolitica piuttosto che politica. “Il varo dell’euro, che viene a completare l’unità interna del grande mercato continentale, consente infine all’Unione europea di affermarsi come potenza economica globale, in grado di raccogliere con successo le sfide della globalizzazione.”, queste le parole pronunciate al Parlamento europeo nel febbraio del 2000 da Romano Prodi, allora presidente della Commissione europea. 



Per affermarsi come potenza globale, anzi per “proiettare il suo modello di società nel mondo“, secondo le parole di Prodi, era necessario allargare l’Ue per aumentarne il peso geopolitico, a costo di includere in un colpo solo una decina di paesi diversi tra loro, non solo per strutture economiche, ma per lingua, storia e cultura. Malgrado quanto successo nel frattempo, Prodi ha riconfermato questa posizione dichiarando l’anno scorso che ”a dieci anni dall’allargamento a est dell’Unione europea, si può dire che questo è stato un successo, un capolavoro politico“, forse per attribuirsi il merito di questo “capolavoro”. Ha anche aggiunto: “Quello della Polonia in Ue è stato l’unico caso della storia e dell’umanità in cui si è esportata democrazia, non con la guerra in Iraq“, cancellando così la secolare storia di questo popolo che non aveva certo bisogno di Prodi e dell’Ue per conoscere ed esercitare la democrazia.



La posizione di Prodi non è certo unica nell’establishment politocratico europeo. L’anno scorso Van Rompuy, allora presidente del Consiglio europeo, in un’intervista a De Standaard dichiarò che l’Ue si sarebbe estesa a tutta l’Europa, esclusa la Russia, qualunque fosse la posizione delle opinioni pubbliche dei vari paesi.

Questa concezione verticistica ed elitaria di un’Unione europea come potenza geopolitica in funzione competitiva, anche se non antagonista, rispetto a Russia e Stati Uniti, si è anche estesa all’euro, visto inizialmente come concorrente globale del dollaro e, in particolare, come alternativa al petrodollaro. La situazione attuale sembra piuttosto lontana da questi ambiziosi obiettivi con Russia e Usa invece attivi nelle vicende europee, non ultima quella greca. 



Molti osservatori ritengono che entrambi, come la Cina, abbiano interesse a evitare il Grexit, per utilizzare la Grecia come trampolino per la loro penetrazione nel resto dell’Unione. Di conseguenza, sia Obama che Putin stanno premendo su Tsipras e Bruxelles perché trovino una soluzione alla presente crisi, spinti peraltro da motivazioni diverse. 

Per Obama l’obiettivo principale è giungere alla firma del Ttip, l’accordo di libero commercio tra Usa e Ue, attualmente in discussione con i vertici di Bruxelles, ed è per lui essenziale avere come interlocutore un ‘Unione non lacerata da crisi interne. Diversi punti dell’accordo sono infatti contestati sia in Europa che negli Stati Uniti, da cui la riservatezza delle trattative.

L’uscita della Grecia renderebbe più difficile la firma a breve del trattato e, reale o meno che sia, la possibilità di un “soccorso rosso” da parte di Russia e/o Cina non può lasciare tranquillo Obama, né i suoi oppositori. D’altra parte, il Ttip e l’analogo Ttp per l’area del Pacifico sono molto importanti per Obama sul piano personale, perché rappresenterebbero il lascito positivo dei suoi due mandati, insieme al discusso Obamacare.

Con la firma del Ttip, l’Ue da possibile concorrente diverrebbe un alleato, succube secondo gli avversari del trattato, e ciò potrebbe rendere conveniente una sorta di piano Marshall per la Grecia, per ora non ipotizzato, che toglierebbe le castagne dal fuoco a Bruxelles in cambio della fatidica firma.

Per la Russia, il Grexit consentirebbe l’apertura di un fronte sud nel conflitto che la vede contrapposta con Washington e l’Ue, che ha in questo momento l’epicentro nella guerra in Ucraina e con la contrapposizione con altri Stati già sotto controllo sovietico. Il costo di eventuali aiuti finanziari alla Grecia fuori dall’Ue sarebbero compensati da un notevole rafforzamento della presenza russa nel Mediterraneo. La Grecia, che alla fine della Seconda guerra mondiale fu teatro di una disastrosa guerra civile scatenata da una parte dei comunisti greci, diverrebbe così la testa di ponte di un ampliamento della zona di influenza russa, con un retroterra nell’appoggio all’Iran e al regime siriano, e che potrebbe estendersi alla tuttora complicata situazione dei Balcani.

Un altro interesse strategico della Russia, il sostegno all’esportazione del proprio gas verso l’Europa, porterebbe invece a preferire che la Grecia rimanesse nell’Ue. Il progetto iniziale che doveva portare il gas russo in Bulgaria, passando sotto il Mar Nero è stato sostituito dal Turkish Stream, che dovrebbe invece arrivare in Grecia, dopo aver attraversato la Turchia. Una Grecia fuori dall’Ue renderebbe più difficoltosa la vendita del gas in Europa.

Tuttavia, questo nuovo gasdotto sembra incontrare qualche difficoltà, almeno nei tempi di realizzazione, perché le trattative con la Turchia di Erdogan non sono facili, malgrado siano stati già firmati i preliminari dell’accordo. In più, l’importanza del Turkish Stream è stata di molto ridimensionata proprio dalla Germania della Merkel, che ha dato via libera al raddoppio del Nord Stream. I due nuovi gasdotti sotto il Baltico porteranno in Germania molto più gas russo rispetto al Turkish Stream e il terminale in Austria potrà facilmente sostituire quello greco come distributore del gas nell’Europa del Sud.

Sembra un paradosso, ma l’interesse principale della Russia non è il Grexit, ma l’uscita dall’Ue della Germania, costituendo in prospettiva un’alleanza, economica e non solo, in grado di “governare” il resto dell’Europa e tenere a distanza sia gli Stati Uniti che la Cina. Un’ipotesi non ancora probabile ma non inverosimile, che rende più comprensibili molte ambiguità delle posizioni di Berlino e che traspare come preoccupazione in non rari commenti oltre oceano. E che giustifica la fretta di Obama a chiudere il Ttip, mentre non giustifica la costante scarsa presenza nello scenario degli altri Stati europei.