Sta tenendo banco, e non solo in Borsa, il comunicato con cui l’Eni ha annunciato la scoperta di un giacimento gigante di gas naturale al largo delle coste egiziane. La notizia è decisamente rilevante sotto vari profili, a partire dalla situazione dell’ente petrolifero.

Come ha ricordato qualche commentatore, lo scorso marzo l’Eni fu tra le prime grandi società petrolifere a comunicare un probabile taglio dei dividendi a seguito del crollo dei prezzi del greggio. Come ha indicato l’ad Claudio Descalzi, tra i molti suoi positivi aspetti, la recente scoperta porterà anche un miglioramento del cash-flow e degli utili aziendali.

In un periodo di continue riduzioni degli investimenti nel settore petrolifero, la scoperta del più grande giacimento di gas del Mediterraneo, comunque uno dei più grandi in assoluto, rilancia l’immagine di Eni come un big player del settore. Anche perché segue quella dell’anno scorso del giacimento al largo delle coste del Mozambico, le cui riserve sono valutate a tre volte quelle della scoperta egiziana. Il giacimento di Shorouk ha riserve valutate per almeno 850 miliardi di metri cubi di gas contro i 2500 stimati per il blocco offshore in Mozambico, ma mentre qui Eni partecipa al 50%, nel giacimento egiziano detiene il 100%. L’operazione egiziana rientra in una strategia che affianca alla ricerca di nuovi campi di esplorazione l’ulteriore ricerca in aree in cui si è già presenti (il cosiddetto near field), ma che possono dare ancora buoni risultati grazie a tecnologie operative innovative, in cui Eni e la controllata Saipem sono molto efficienti.

Il vantaggio di questa strategia è di poter accelerare i tempi di sfruttamento utilizzando infrastrutture e impianti già esistenti nell’area e Descalzi ha dichiarato che “i primi frutti” del nuovo giacimento potranno essere visti già entro il 2018. Comunque, nel periodo iniziale il gas estratto verrà dedicato esclusivamente al consumo interno dell’Egitto. E’ questo il secondo profilo che indica l’importanza del ritrovamento di Shorouk. Il presidente egiziano al Sisi ha posto il problema energetico come prioritario per lo sviluppo economico del Paese e le riserve trovate da Eni possono coprire gli attuali consumi egiziani di gas naturale per circa due decenni. Un deciso rafforzamento per la posizione dell’Egitto, Paese particolarmente importante nell’attuale situazione della regione, liberando in buona parte il Cairo dalla dipendenza dall’estero.

Uno dei primi riflessi di questa nuova situazione potrebbe essere la revisione degli accordi che erano in via di discussione con Israele, che ha in programma di esportare il gas naturale che verrà estratto, nel giro di un triennio, dal giacimento offshore Leviathan, le cui riserve sono stimate a circa un terzo di quelle di Shorouk. Ma potrebbero esserci anche cambiamenti nei rapporti con altri produttori di gas, come gli Stati del Golfo.

Perciò, e questo è il terzo aspetto, almeno a breve termine, sembra improbabile che il ritrovamento dell’Eni possa servire all’Italia per differenziare significativamente le proprie fonti energetiche. Anche se Descalzi ha parlato della intenzione di utilizzare l’impianto di liquidificazione di Damietta, cogestito dall’Eni e ora inattivo per mancanza di gas, per produrre gas liquido da esportare.

Rimane però intatto per l’Italia il potenziale politico-economico della consistente presenza dell’Eni in Egitto, il primo Paese straniero in cui il Gruppo ha incominciato ad operare già nel 1954. Matteo Renzi sembra aver colto questa opportunità, ma occorre evitare un semplice interesse di facciata, politico in senso deteriore. Ciò che necessita è una vera e propria strategia industriale, area in cui i nostri politici non sembrano particolarmente adeguati, ma che è essenziale soprattutto in campo energetico. Sarà bene ricordare che il nostro mix è proprio sbilanciato verso il gas naturale. L’Eni ha dimostrato in passato, e sta ancora dimostrando, di avere una propria politica industriale, dalla quale potrebbe essere interessante anche per il Paese partire.