Il Consiglio dei ministri ha fissato il cosiddetto referendum sulle trivelle per il prossimo 17 aprile e si sono subito scatenate le polemiche degli ambientalisti, che chiedevano invece che il referendum si tenesse contemporaneamente alle elezioni amministrative. Comunque la si pensi sul contenuto del referendum, queste critiche non sembrano infondate, perché con l’accorpamento si sarebbero risparmiate centinaia di milioni di euro, fatto non irrilevante di questi tempi. Né si può pacificamente accantonare l’accusa al governo di cercare in questo modo di non far raggiungere il quorum, rendendo così vano il referendum.
Personalmente ho l’impressione che il referendum in sé sia ormai considerato inutile da molti italiani e, forse, tra le varie riforme di cui tanto si parla potrebbe esserci anche la revisione di questo istituto. Il referendum in oggetto è stato richiesto dalle Regioni direttamente coinvolte nelle esplorazioni per la ricerca di petrolio e gas naturale, che ritengono i possibili danni ambientali superiori alle entrate derivanti dall’estrazione degli idrocarburi. Al referendum parteciperanno però anche gli aventi diritto delle altre Regioni, al riparo degli eventuali danni, ma fruitori indiretti dei benefici economici dello sfruttamento dei giacimenti. Viene posta ancora in evidenza la necessità di una maggiore e più efficace divisione delle competenze, e dei relativi costi e benefici, tra Regioni e Stato. Inoltre, sulla materia vi sono altri due quesiti giacenti presso la Corte Costituzionale, con il rischio di dover effettuare altri referendum.
L’iniziativa ha comunque avuto già dei risultati, visto che negli scorsi giorni il ministero dello Sviluppo economico ha respinto 27 richieste per ricerche offshore di petrolio e gas all’interno delle 12 miglia dalla costa. Il quesito referendario interessa infatti le concessioni all’interno di questo limite e, se approvato, cancellerebbe la disposizione di legge per cui chi è già stato autorizzato potrà continuare a estrarre fino a esaurimento del giacimento.
Per quanto riguarda la sostanza, la questione si presenta con vari aspetti contraddittori, perché se da un lato per i prodotti energetici è pesante la nostra dipendenza dall’estero, dall’altro la diatriba si svolge in un momento in cui il prezzo degli idrocarburi è estremamente basso e favorevole a un Paese importatore come il nostro. Proprio l’attuale livello dei prezzi sta mettendo in difficoltà i produttori, che stanno tagliando fortemente gli investimenti in esplorazione e ricerca, rendendo strano l’interesse per i nostri non cospicui giacimenti. Una ragione potrebbe essere data da costi di estrazione favorevoli, l’Adriatico ha fondali bassi, ma c’è chi parla di royalties particolarmente limitate richieste alle società petrolifere, il che apporterebbe un’ulteriore giustificazione alle resistenze delle Regioni interessate.
Dall’altra parte c’è chi sottolinea la bolletta energetica imposta alle nostre imprese, molto più alta rispetto ai concorrenti europei, derivante proprio dalle forti importazioni di idrocarburi e dall’assenza di energia elettrica prodotta con il nucleare, che importiamo da altri Stati.
Inoltre, si evidenzia che una maggiore produzione interna aumenterebbe la sicurezza degli approvvigionamenti, anche se in misura limitata. Dal fronte contrario si risponde che basterebbe aumentare gli investimenti nelle energie rinnovabili, che già ora contano per più del 40% nella produzione di elettricità. È senza dubbio vero che la diffusione delle fonti rinnovabili, l’aumento dell’efficienza energetica, lo sviluppo tecnologico ridurranno sempre più il consumo di carburanti fossili, ma è altrettanto vero che petrolio e gas naturale saranno ancora strategici per diversi decenni e rimarranno componenti centrali di ogni politica energetica.
Questo è il punto principale che emerge da questo dibattito: la mancanza di una definita strategia energetica, come d’altro canto di una più generale politica industriale. I dibattiti a tal proposito dovrebbero però liberarsi di elementi spuri, come interessi particolari, di petrolieri o di enti locali, o componenti fortemente ideologiche, come non raramente accade tra gli ambientalisti.