“Tanto tuonò, che piovve!” Dopo tanti brontolii sui media, l’entrata di Vivendi in Mediaset sembra cosa fatta e con modalità tali da soddisfare tutti i partecipanti, da un lato Vivendi e Vincent Bollorè, dall’altro Mediaset e i Berlusconi. Il passaggio di Mediaset Premium a Vivendi risponde alla strategia di quest’ultima di concentrarsi sui contenuti, dopo aver abbandonato l’originaria natura di società telefonica. Per Mediaset significa accettare la realtà e ammettere di essere troppo piccola e troppo concentrata in Italia per poter competere in un mercato globale. È l’ottica sottostante allo scambio azionario tra Mediaset e Vivendi, con l’ulteriore ipotesi di un successivo passaggio totale di Mediaset ai francesi. Le condizioni dell’accordo prevedono lo scambio del 3,5% del capitale, ma la differenza di capitalizzazione tra le due imprese porta a una minore valutazione della quota Mediaset di circa 700/750 milioni di euro. La cessione dell’89% di Mediaset Premium (il rimanente 11% è in capo a Telefonica) serve a colmare questo divario.

Per i Berlusconi la prospettiva finale è di diventare azionisti importanti di un grande gruppo europeo a guida francese, facendo propria la frase di Giulio Cesare, sia pure al contrario: “Meglio secondo nelle Gallie che primo a Roma”. È ciò che, d’altra parte, hanno fatto gli eredi dell’Avvocato che, grazie a Marchionne e al suo recupero della Fiat svenduta dal nonno, sono ora secondi in quel di Detroit e non più primi a Torino. Gli Agnelli si sono tenuti la Ferrari, i Berlusconi la Mondadori e il Cavaliere si è preso pure la soddisfazione di comprare la Rcs Libri da quel “salotto buono” di via Solferino che lo aveva sempre tenuto ai margini. Una chiusura in bellezza, quindi, per Silvio, definito in un articolo del Sole 24 Ore insieme a Vincent Bolloré come “due tra gli uomini più potenti in Europa”, e nuove e più interessanti opportunità per la Fininvest dei suoi eredi.

Ma Telefonica, di cui si è anche molto parlato ultimamente? Molti la danno uscita dal gioco, ma credo invece che sia ancora in campo. Appare evidente l’obiettivo di Bolloré di costituire un grande gruppo media, con Vivendi in posizione centrale, che possa confrontarsi con successo con i colossi d’Oltreoceano, ad esempio Netflix con i suoi piani di espansione in Europa. Sarebbe strano che in questo progetto non venisse considerata la Spagna, dove il leader è proprio Telefonica con Movistar Plus, in cui è confluita quella Digital Plus (e il suo Canal Plus, paradossalmente lo stesso nome della equivalente società di Vivendi) dove Mediaset aveva una partecipazione, poi ceduta nel 2014 agli spagnoli. Non sarebbe perciò sorprendente un accordo di collaborazione, anche con uno scambio azionario, tra Vivendi e Telefonica, che comprenderebbe ovviamente anche Mediaset Premium, in cui gli spagnoli sono già presenti.

Rimangono da capire le intenzioni di Bolloré su Telecom Italia, perché suonerebbe strano che Vivendi, uscita dal settore telefonico ovunque, compresa la Francia, volesse rientrare in questo settore proprio in Italia. Per la verità, a fronte della cessione della sua partecipazione in Telefonica Brasile, Vivendi ha ottenuto una quota di circa l’1% in Telefonica, che la pone tra i primi dieci soci del gruppo spagnolo. Questa quota sembra funzionale a una collaborazione nel settore media, ma il 24,9% in Telecom Italia sembra decisamente eccessivo allo scopo.

A questo punto può venire il sospetto che la quota in Telecom sia “tenuta in caldo” per qualche ulteriore operazione, come l’ipotizzata entrata di Orange. La presenza in questo gruppo, leader in Francia, di una determinante partecipazione azionaria dello Stato potrebbe portare a qualche reazione del nostro governo, finora completamente assente dalla vicenda. Un’assenza che in questo caso potrebbe continuare perché, come in altri casi in passato (vedasi lo stesso Berlusconi con Parmalat), il via libera in Telecom potrebbe essere usato per ottenere l’appoggio del Governo francese in altre occasioni, magari in quel di Bruxelles.

I rapporti diretti, societari e operativi, descritti in precedenza tra Vivendi e Telefonica, potrebbero portare a un’altra operazione, più strategica: il ritorno degli spagnoli in Telecom Italia. Una delle ragioni di attrito tra Bolloré e l’amministratore delegato di Telecom, Marco Patuano, con le conseguenti dimissioni di quest’ultimo, era l’intenzione di Bolloré di vendere Tim Brasil. Operazione che ha una certa logica finanziaria, ma che ridurrebbe definitivamente Telecom al solo mercato italiano, in una situazione simile a quella descritta per Mediaset: incapace di competere in un mercato globale, diventando così una preda ideale per la concorrenza. Il mercato italiano rimane interessante e sarebbe un naturale completamento per Telefonica che, recentemente uscita dal mercato inglese, ha le risorse necessarie per gestire una società indebitata come Telecom e bisognosa di accelerare gli investimenti.

Rientra qui il problema delle reti e della banda larga, ben descritto da Zaccheo su queste pagine, che sottolinea giustamente che chi ha sete è interessato all’acqua non a di chi è l’acquedotto. Tuttavia, se chi produce l’acqua, in questo caso Vivendi, è anche socio di chi la porta, Telefonica, la cosa può servire a entrambi.

Comunque vada a finire, il gioco rimane tra “Franza e Spagna”, ma resta da vedere a favore di chi andrà la parte finale del vecchio detto: “pur che se magna”.