L’orgoglio nazionale britannico è noto a tutti ed è perciò difficile capire perché Obama, durante la visita in Gran Bretagna alla fine di aprile, si sia espresso contro l’uscita del Regno Unito dall’Ue con dichiarazioni percepite come un’indebita interferenza, che rischia di favorire proprio il deprecato Brexit. La reazione più pesante è venuta da Boris Johnson, ex sindaco di Londra, deputato Conservatore e leader del fronte del Brexit, che ha definito Obama un “ex coloniale” per le sue origini keniote. E, d’altra parte, anche gli Stati Uniti erano soggetti all’Impero Britannico. 

Obama non è un povero afroamericano proveniente da un ghetto, appartiene alla élite che governa il Paese, alla pari del suo predecessore e del suo successore, sia esso Trump o Hillary. Non poteva quindi ignorare l’effetto delle sue dichiarazioni e c’è da chiedersi perché lo abbia fatto. La risposta si può trovare in una sua frase che ha particolarmente irritato i sostenitori del Brexit, e probabilmente non solo, e cioè che, se avesse lasciato l’Ue, l’UK sarebbe “finita ultima della coda” nelle trattative per il Ttip, il trattato di libero scambio con l’Usa. 

Questo trattato, di cui si sa ancora molto poco, sta molto a cuore a Obama in quanto, insieme al già firmato Ttp riguardante il Pacifico, rappresenterebbe il suo lascito alla Storia come Presidente. Vista la freddezza in proposito dei candidati alla sua successione, Obama vuole che il trattato sia firmato prima delle elezioni di novembre, ma la cosa non sembra molto probabile. 

In ogni modo, il Ttip ha fatto irruzione nel dibattito in UK, dove i sostenitori del Leave, l’uscita dall’Ue, pensano che il Regno Unito da solo potrebbe stipulare un accordo migliore di quello raggiungibile rimanendo nell’Ue e che il Brexit sia lo strumento per evitare il Ttip di Bruxelles. I sostenitori del Remain controbattono che, anche da fuori, il Regno Unito sarà costretto a seguire le regole concordate tra Bruxelles e Washington, ma senza aver potuto partecipare alle trattative. 

Tuttavia, anche nel campo avverso al Brexit si lamenta la scarsa partecipazione del governo inglese alle trattative, data la resistenza delle strutture europee a coinvolgere i singoli governi. Un’accusa che viene fatta anche in altri Paesi, che ha portato alla netta opposizione del governo francese e a un forte movimento anti-trattato in Germania. 

In un articolo dello scorso mese sul Guardian a firma Larry Elliot, viene aggiunto un altro importante fattore critico del Ttip, che non è tanto l’ampliamento del libero scambio, quanto l’armonizzazione delle norme che regolamentano numerosi settori, molto diverse tra Usa e Europa. Il Guardian cita le notizie sulle trattative date da Greenpeace e le preoccupazioni sollevate in materia di ambiente e salute, che sarebbero molto più a rischio con le nuove nome. La sensazione diffusa, non solo in UK, è infatti che Bruxelles stia cedendo alle richieste americane e che queste siano pesantemente condizionate dagli interessi economici delle grandi multinazionali statunitensi, a scapito dei cittadini.

Negli scorsi giorni si è aggiunta l’intervista a Der Spiegel del ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, che ha praticamente chiuso la porta alla continuazione di rapporti privilegiati con l’Ue in caso di Brexit. Schäuble ha così escluso la possibilità di condizioni come quelle riservate a Norvegia o Svizzera, che erano un po’ la “riserva” dei sostenitori del Leave. Diverso, peraltro, il tono delle concomitanti dichiarazioni di Angela Merkel che ha invitato il Regno Unito a rimanere, perché molto importante per l’Unione europea e per la Germania. Un possibile gioco delle parti, ma che dimostra come il Brexit sia il detonatore della crisi europea, più che la sua causa.

Sotto questo profilo è indicativo un passaggio dell’intervista allo Spiegel, in cui Schäuble segnala il pericolo che altri Paesi seguano l’esempio inglese e cita l’Olanda che, pur facendo parte dell’Eurozona, ha legami molto stretti con il Regno Unito. È una citazione interessante, perché non si tratta di un Paese periferico, ma di uno Stato ritenuto nel “cerchio magico” di Berlino. Le dichiarazioni di Schäuble, suonate come un ricatto alle orecchie inglesi, sono anche un pesante segnale ai vertici di Bruxelles: o si cambia registro o l’Unione salta. Il fatto è che proprio Schäuble ha un’immagine dell’Ue indigesta a buona parte degli altri membri e, sembrerebbe, anche di una parte sempre più crescente di tedeschi. Qualunque sia l’esito del referendum, le ampie concessioni fatte da Bruxelles a Cameron possono indurre altri Stati a chiedere un uguale trattamento e potrebbero essere messe in discussione anche alcune condizioni particolari di cui gode la stessa Germania. 

È probabile che Berlino abbia elaborato un suo Piano B, per esempio il ritorno alla vecchia ipotesi tedesca dell’euro a due velocità e, magari, la sostituzione del’Unione con un Ttip più accettabile, da discutere con il nuovo Presidente. Sarebbe opportuno che anche l’Italia si dotasse di un Piano e, una volta tanto, cercasse di anticipare gli eventi. Anche se non molto, c’è ancora un po’ di tempo prima che la partita si chiuda.