Il Gambia prova a reintrodurre l’infibulazione ossia la mutilazione dei genitali femminili. La proposta è arrivata dall’onorevole Almameh Gibba, primo firmatario del testo attualmente all’esame del Parlamento di Banjul, che renderebbe legittima – nuovamente – asportazione di parte del clitoride e delle piccole labbra e nei casi più estremi, ancora, la chiusura completa della vagina. Il provvedimento si inserirebbe in un quadro di “difesa dei diritti religiosi” e della “salvaguardia delle norme e dei valori culturali” ha spiegato.



L’attuale normativa, invece, dal 2015 prevede sanzioni pecuniarie e pene detentive fino a tre anni per chi pratica l’infibulazione, come spiega Libero. Si tratta, secondo Gibba, di una “violazione diretta dei cittadini di praticare la loro cultura”. L’esponente dell’opposizione, Mai Ahmad Fatty, ha replicato sui social con un cartello nel quale si legge: “In Gambia non c’è nessuna Female Genital Mutilation. Noi circoncidiamo, non mutiliamo”. Il Supremo Consiglio Islamico spinge per approvare la proposta di Gibba, sostenendo che “Allah ha decretato la circoncisione femminile”. 



Infibulazione: le mutilazioni senza anestesia e in condizioni igieniche precarie

Al momento 42 deputati su 47 hanno votato contro la mutilazione dei genitali femminili in Gambia, dicendosi favorevoli a proseguire con l’attuale normativa. Da un lato, fuori dall’Assemblea nazionale, si è radunato un gruppo di donne e uomini che protestava contro la proposta stessa, mentre dall’altro lato la manifestazione di donne velate chiedeva proprio l’infibulazione. Il fenomeno, come spiega Libero, riguarda il 75% della popolazione femminile del Gambia di età compresa tra i 14 e i 19 anni.

Le mutilazioni avvengono spesso senza anestesia, in condizioni igieniche precarie e con conseguenze drammatiche. In Italia il reato è punito con la legge Consolo approvata nel 2006 che prevede la reclusione da quattro a dodici anni ma spesso l’intervento viene compiuto fuori dal nostro Paese, durante viaggi in Africa, Somalia in primis. Lì, infatti, non si tratta di un reato. Souad Sbai, presidente di Acmid, Associazione di donne marocchine, ricorda che “le motivazioni si richiamano a detti popolari, precetti religiosi o al controllo politico e sessuale della donna. La sessualità femminile è considerata un istinto impuro e da controllare, e possibilmente annullare”.