New Orleans. Una mattina come tante. Al volante c’è Rachel Hunter, una giovane madre che sta portando a scuola il piccolo Kyle, in mezzo al traffico cittadino. La sua vita è piuttosto incasinata: il divorzio, la cura della madre, il fratello a carico, il lavoro precario, la casa a cui badare. Poco tempo a disposizione e un ritardo che si accumula per stare dietro a tutti e tutto. Imbottigliata in strada, Rachel si lascia andare a un clacson un po’ più lungo del dovuto. Sfortunatamente, davanti a lei c’è Tom Cooper, un uomo senza un equilibrio personale, che sentendosi offeso reagisce in modo smisurato, condannando Rachel e la sua famiglia a una fuga senza tregua.



Un giorno sbagliato capita a tutti. Com’è capitato a tutti di incontrare qualche automobilista un po’ più nervoso del normale. “Non farci caso, lascia stare”, la ragionevole e immancabile raccomandazione di chi sta accanto. Sempre meglio non rispondere, né dare corda, si dice, non sai mai chi ti può capitare. Certo di tipi come nel film, per fortuna, non ce ne sono molti. Almeno non in Italia, anche se le recenti vicende di violenza gratuita ci hanno risvegliato in una realtà orribile e dolorosa, a tratti perfino più cruda della finzione.



Derrick Borte, un regista statunitense di origini tedesche semi sconosciuto (al suo terzo film), ci accompagna in un episodio di follia, frutto della sua immaginazione. Un incubo senza fine che colora di nero e rosso la giornata di una premurosa e sfortunata madre di famiglia.

Prima di lui, al cinema, avevamo sofferto con Un giorno di ordinaria follia. Un film allucinato, visivamente impeccabile, capace di immergerci nel sudore inquinato del traffico di Los Angeles. Un grande classico che rifletteva, seppur nei contorni di un’opera di intrattenimento, sulla decadenza contemporanea di un’umanità febbrile, ferita dall’ansia da prestazione e dallo stress della frenesia. L’incubo del traffico che trasformava l’ordinario in follia. Uno scatto d’ira, una flebile scintilla capace di appiccare il fuoco della devastazione violenta. Prima ancora c’era stato Duel, capostipite ineguagliato del genere, firmato da Steven Spielberg, dominato da un feroce camionista che rimaneva all’oscuro del suo abitacolo giustizialista.



Ne Il giorno sbagliato il carnefice lo vediamo bene, fin dall’inizio, in tutta la sua devastazione corporea che non appartiene alla finzione, ma che fa gioco al film. Appesantito all’inverosimile, come ormai siamo abituati a vederlo, Russell Crowe vomita disperata aggressività senza motivo, covata nei profondi meandri di una personalità disturbata che perde il controllo. Un truce aguzzino dalla facile vendetta e dall’equilibrio più che instabile, sferzato da disagi personali di cui sappiamo poco. Un uomo invisibile, rancoroso con il mondo, fuori controllo, che cerca disperatamente di essere qualcuno. Unhinged, squilibrato, recita il titolo originale del film.

Di fronte a una così fragile umanità, basta una secca risposta d’istinto, basta un innocente e perfino comprensibile calo dell’educazione per proiettare l’espressiva Rachel (Caren Pistorius) nell’incubo che non sembra avere fine. E in auto, con lei, c’è Kyle. Un bimbo innocente già più grande della madre, pronto a gettare acqua sul fuoco di un incendio ormai troppo esteso per essere domato. 

Nulla di nuovo e originale, in questa storia piacevole d’orrore e disperazione. Un thriller ben fatto, che tiene impegnato il cuore offrendo violenza più che gratuita e in grande quantità. Buon ritmo e più che piacevole tensione per riscoprire il cinema in sala. Quello senza impegno, ricco di emozioni che fanno sentire vivi, che si gustano nel silenzio di una sala ormai troppo spesso vuota.

Non c’è, ne Il giorno sbagliato, la sensazione soffocante e claustrofobica che aveva accompagnato, quell’ormai lontano giorno di ordinaria follia. C’è solo un po’ di pioggia, che inumidisce le strade, accalca le macchine e rende scivolose le fughe. Ma il film tutto sommato funziona, con qualche piccolo merito poiché, pur essendo l’ultimo di molti altri già visti, ci regala un po’ di credibile disumanità e di pratica catarsi dalle paure reali del quotidiano.