Il mondo è stato investito da un fatto nuovo e inaspettato. La pandemia ha portato un cambiamento drastico delle nostre abitudini, ha cambiato la gerarchia delle aspettative, ci ha portato a vedere aspetti della nostra società che prima apparivano solo sullo sfondo. Il lavoro di ciascuno di noi ha subito cambiamenti e, da un momento all’altro, l’interscambio con i colleghi è diventato da fisico a fatto virtuale.



È emerso che molti lavori che venivano ritenuti ormai quasi obsoleti si sono rivelati essenziali per la nostra sopravvivenza. Certo tutte le professioni della sanità e dell’assistenza, ma anche il commercio di generi di prima necessità, tutta la filiera della logistica e della produzione agroalimentare. Insomma, molti dei settori che erano stati investiti dalla deregolamentazione del mercato del lavoro sono stati indispensabili per assicurare la resilienza della società. A questi lavoratori sono stati innalzate lodi e sostegni nel periodo più nero del lockdown. Ma si sta oggi lavorando per riconoscere, a partire dalla loro condizione concreta, una vera dignità a tutti coloro che lavorano?



Un lavoro dignitoso è quello che, indipendentemente che sia con contratto tradizionale o gestito dalle nuove piattaforme della gig economy, assicuri un salario che permetta di mantenere una famiglia e assicuri quei servizi di welfare che aiutino nei momenti di difficoltà della vita.

Affrontare questi temi che ci sono stati messi di fronte dall’esperienza di questi ultimi anni, e che si sommano agli squilibri storici del mercato del lavoro italiano, hanno portato la Fondazione per la Sussidiarietà a proporre, nell’ambito del Meeting di Rimini, sei incontri sul tema del lavoro.

Sono sei appuntamenti che nascono dalle domande che ci siamo posti per capire cosa sta succedendo e cosa ci aspetta dal grande cambiamento in corso. Il filo rosso delle domande di base può essere schematizzato da questi temi:



– Perché lavoriamo così poco? In Italia solo il 58% degli adulti in età lavorativa lavora. L’obiettivo che si è data l’Europa è il 70%. Cosa frena il creare più lavoro nel nostro Paese è tema aperto. Chi non vuole lavorare cerca un sussidio, ma anche chi vuole trovare un buon lavoro spesso deve andare all’estero. Sono tanti i mismatching che ci bloccano e chiedono più disponibilità e responsabilità a tutti. I tentennamenti sull’uso del green pass sul lavoro non sono prova di condivisione degli obiettivi e di responsabilità condivisa. In ogni caso il lavoro non è più il posto fisso, il lavoro è un percorso. Diventa obbligatorio muoversi e vincere le resistenze culturali dell’immobilismo.

– Chi vuole farcela attraverso il lavoro si mette in movimento. Guardiamo a tante esperienze positive che nascono nei Paesi in via di sviluppo. Assieme a questi fatti guardiamo anche i flussi di chi si muove per seguire il lavoro. Si vede che in moto c’è tutto il mondo, anche noi abbiamo flussi di emigrazione, perché la globalizzazione è anche globalizzazione delle opportunità. Dobbiamo saper valorizzare le competenze che abbiamo e anche quelle che arrivano per accrescere conoscenza e produttività.

– Il lavoro cambierà molto nei prossimi anni. Le forze della sostenibilità e della digitalizzazione cambieranno modi di produrre e anche prodotti e servizi. Serviranno nuove competenze, ma soprattutto cerchiamo di capire quali saranno i lavori destinati a essere obsoleti e quali nuove professioni nasceranno. Anche in quelle che rimarranno saranno richieste competenze diverse. I luoghi di lavoro saranno investiti dal cambiamento e lo smart working potrà diventare un nuovo modo di articolare i tempi del lavoro in sede o da fuori sede.

– Cambiamo lavoro più spesso di prima e il lavoro ci chiede di adeguare sempre più spesso le nostre conoscenze al cambiamento organizzativo e tecnologico. Tutto ciò porta a cambiare il sistema formativo, dobbiamo soprattutto imparare a imparare e investire in formazione durante tutto l’arco della vita diventa fondamentale. Le nuove tutele del lavoro passano dalla capacità di assicurare orientamento e formazione ai lavoratori interessati da crisi e cambiamenti tecnologici. Il ridisegno universalistico delle politiche attive del lavoro e degli ammortizzatori sociali ha qui il suo punto di avvio.

– Il lavoro dovrebbe essere dignitoso e sostenibile. Gli squilibri del mercato del lavoro italiano sono ancora da affrontare e già si pongono temi nuovi. La crescita del lavoro femminile chiede di avere politiche specifiche e scelte di servizi per conciliare famiglia e lavoro. I contratti di inserimento lavorativo sono penalizzanti per i giovani e si prestano ad abusi e sfruttamenti intollerabili. Ci sono interventi in controtendenza, ma molto resta da fare anche per superare i gap territoriali che si aggiungono a ciò. Bisogna però chiarire se il lavoro è ancora il modo per avere una vita migliore o se si contrappone al desiderio di una vita migliore.

– Le domande dei primi giorni possono trovare un avvio di risposta nella pianificazione delle risorse che arriveranno dal Next Generation Eu? Non vuole essere una domanda provocatoria, ma molto realistica. Ogni punto di riflessione contiene un giudizio sul futuro e chiede che vi sia una visione di insieme, un orizzonte comune, una capacità di valutare il contributo al bene comune di tanti interventi coordinati per dare al lavoro, nella nuova fase di sviluppo che si apre, la piena dignità che la pandemia ha ulteriormente messo fra le priorità sociali.

A discutere di questi temi abbiamo invitato politici, sindacalisti, studiosi ed esperti dei diversi settori. I sei appuntamenti saranno trasmessi in diretta ogni sera alle 19 sui canali social e rimarranno poi consultabili, assieme al materiale preparatorio, sul sito della Fondazione.

Tutto il materiale che verrà prodotto al Meeting, con il rapporto “Sussidiarietà e lavoro sostenibile”, appena pubblicato, e con l’ultimo numero di Nuova Atlantide (Lavoro: centro di dignità permanente) vogliono contribuire a dare al lavoro il ruolo di centralità nel disegnare un nuovo contratto sociale che metta al centro la dignità della persona.

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