Continua la ricerca scientifica e medica per comprendere a fondo la natura del cosiddetto long covid, etichetta sotto cui si riuniscono diverse patologie e problematiche che affliggono i pazienti che durante la pandemia sono stati infettati dal virus di Wuhan. Non si tratta di una vera e propria malattia riconosciuta e riconoscibile, ed è piuttosto difficile stimare quante persone nel mondo ne soffrano e ne abbiano sofferto in passato.



Tendenzialmente la sua insorgenza è immediatamente successiva all’infezione primaria da covid, con una durata stimata in media di 5 mesi, con casi limite pari al 10% del totale che si sono protratti per oltre 12 mesi. Sotto l’etichette di long covid si includono problematiche come il senso di affaticamento, ma anche la mancanza di respiro e le difficoltà di concentrazione, mentre in alcuni casi persiste un senso di malessere generale. Come si anticipava, però, non c’è anche una spiegazione riconosciuta all’insorgenza di tutte queste patologie e, mentre la ricerca continua, un recente studio australiano pubblicato sulla rivista AJGP ha posto la lente di ingrandimento sul ruolo (potenziale) che il vaccino ad mRna potrebbe giocare nello sviluppo del long covid.



Lo studio australiano sul long covid: “Spike persiste nell’organismo e lo danneggia”

Secondo i ricercatori australiani, che precisano si tratti di una teoria che deve essere ancora debitamente approfondita, sono molti gli esperti a livello internazionale che ipotizzano un collegamento tra vaccino mRna e long covid, coniando anche il termine ‘Long Vax(x)‘. Supponendo, infatti, che sia la proteina Spike a causare la versione lunga del virus, si potrebbe tranquillamente supporre che anche il vaccino (che ne contiene una versione modificata e stabilizzata, resa immune), oltre all’effettivo virus, potrebbe veicolare i sintomi legati alla malattia sconosciuta.



L’associazione long covid-vaccino è stata dimostrata su una coorte di “284.592 individui vaccinati”, con un tasso stimato “pari a un quinto dell’incidenza” della malattia. Questo sarebbe legato al fatto che la proteina Spike si esprime “nel tessuto muscolare, nel sistema linfatico, nei cardiomiociti e in altre cellule”, mentre chi si è sottoposto a due vaccinazioni mostra “livelli anormalmente elevati di anticorpi IgG4” che a loro volta “potrebbero causare malattie autoimmuni, promuovere la crescita del cancro, miocardite autoimmune e altre malattie correlate”. Più che un’accusa contro il vaccino, lo studio australiano sul long covid vuole essere un invito a “comprendere la persistenza dell’mRNA virale e delle proteine ​​virali” nell’organismo, oltre che “i loro effetti patologici cellulari” sia in presenza che in assenza dell’infezione primaria.