Ieri, dopo le dichiarazioni del Presidente del Consiglio della scorsa settimana, anche il Governatore della Banca d’Italia ha osservato come le probabilità di opa sul mercato italiano siano aumentate dopo i pesanti ribassi che hanno colpito senza eccezione le società quotate.

Le preoccupazioni espresse da Berlusconi non si possono non mettere in relazione con l’ultimo inaspettato evento del sistema bancario italiano, che ha visto l’approdo dei libici in Unicredit con una quota di poco lontana dal 5% e da quella degli storici azionisti. Nelle prossime settimane si vedrà quanta parte i nuovi soci avranno nella gestione di una delle principali banche italiane, ma già ora appare chiaro che non sono venuti per fare gli spettatori silenziosi.

Per comprendere se questi timori siano o meno fondati occorre osservare con attenzione le condizioni di mercato in cui si trova chiunque sia interessato a un’operazione di finanza straordinaria e soprattutto capire in che modo e in che misura siano cambiate rispetto a quanto accadeva solo pochi mesi fa.

Già nella prima metà del 2008 il calo della quotazioni costituiva uno straordinario incentivo a chi voleva riacquistare la totalità delle azioni della propria impresa o per chi voleva cogliere l’opportunità di integrarsi con un concorrente. L’occasione sembrava irrinunciabile sia alla luce di un mercato del credito già in difficoltà ma ancora disposto a concedere prestiti, sia perché gli scenari economici che venivano scontati erano molto meno pessimistici di quanto appaiano ora. In altre parole ci si assumeva un rischio calcolato sfruttando quella che sembrava un’ingiustificata miopia dei mercati finanziari. L’investitore lungimirante avrebbe recuperato con gli interessi quanto speso appena l’economia fosse tornata a una fase di espansione.

Oggi queste considerazioni hanno perso valore. Le banche sembrano avere tutta l’intenzione di diminuire i finanziamenti concessi alle imprese e alle persone, se non a fronte di garanzie estremamente solide e a costi elevati, e fare previsioni attendibili sulla durata e la profondità delle recessione che ci aspetta è un esercizio fuori dalla portata di qualsiasi operatore.

In queste condizioni ci sono pochi soggetti che potrebbero assumersi il rischio di un’acquisizione sui mercati finanziari. Questi soggetti devono non aver bisogno di debito, avendo a disposizione un’abbondante liquidità, avere un orizzonte temporale di investimento lungo che li renda quasi indifferenti alla prospettiva di un’imminente e prolungata recessione e infine si possono permettere di non aspettare ulteriori minimi di prezzo.

Come si può facilmente immaginare gli investitori che corrispondono a queste caratteristiche sono merce rarissima sugli attuali mercati finanziari. Non occorre un grande sforzo di fantasia per affermare che gli unici indiziati sono i fondi sovrani che hanno costruito le proprie fortune sui favolosi rincari delle materie prime degli ultimi anni o le società private di “interesse nazionale” che troverebbero negli Stati un appoggio economico.

Infine è chiaro che gli unici investimenti sensati in un contesto in cui si vive ad ore sono in settori e imprese che, a meno di sconvolgimenti a oggi inimmaginabili, continueranno a esistere e a fare utili in futuro a prescindere dalla prossima recessione.

L’attuale contesto finanziario rende estremamente fragili i settori strategici (banche, assicurazioni, telecomunicazioni, energia), le cui quotazioni soffrono, ma la cui importanza e centralità non sono venute meno e li mette al centro dell’attenzione proprio perché suscitano l’interesse non di imprenditori privati interessati a un adeguato profitto in cambio di un servizio professionale, ma perché potrebbero finire nel mirino di soggetti che sfuggono ai controlli o che potrebbero muoversi con logiche antitetiche rispetto agli interessi nazionali.

Già ora si parla con insistenza di un’imminente entrata nel capitale di Telecom Italia e appena settimana scorsa più di una voce sinistra è girata sulla solidità di un’importante assicurazione italiana, oltre alle note speculazioni sull’indipendenza di Unicredit. Per questo potrebbe essere riduttivo leggere le dichiarazioni di Berlusconi solo in relazione agli ultimi investimenti del suo presunto amico Gheddafi.