L’ultima novità che giunge dagli Stati Uniti è la vicenda Madoff che, prima, ha occupato le pagine dei principali quotidiani economici internazionali e, poi, all’apertura dei mercati ha dato un nuovo motivo agli investitori per dubitare della solidità di banche e società finanziarie. I risultati si sono visti ieri mattina con i titoli bancari puniti in modo evidente dopo l’ultimo scandalo finanziario made in USA.
Sprecare il termine novità per descrivere il caso Madoff è in realtà abbastanza inopportuno dato che la truffa è nota da diversi decenni e va sotto il nome americano di “metodo Ponzi” e sotto quello italiano di “catena di S.Antonio”. In poche parole la “Bernard Madoff Investment Securities”, nell’attività di gestione di fondi Hedge, avrebbe garantito i ritorni degli investitori non con le performance positive derivanti dall’attività di gestione, ma con i nuovi flussi di chi via via sottoscriveva nuove quote. Tutte le performance dichiarate dalla Madoff erano fittizie, mentre i soldi immessi dai nuovi investitori sono serviti in realtà a remunerare i vecchi quotisti. Uno schema che in teoria poteva essere ripetuto all’infinito, ma che è crollato sotto il peso dei riscatti che hanno colpito, duramente e senza eccezioni, l’industria del risparmio gestito.
Nel caso in questione, quando i clienti hanno cominciato a chiedere la restituzione dei soldi investiti, sulla scorta degli scossoni patiti dai mercati, la società di gestione non è stata in grado di provvedere ai propri obblighi; i soldi erano già serviti, e da tempo usciti dalle casse, per remunerare i vecchi investitori. Sono molteplici gli elementi che rendono le conseguenze del caso molto più ampie e gravi di quelle che avrebbe una mera frode finanziaria. Innanzitutto il buco causato dalla spregiudicata gestione di Bernard Madoff sarebbe pari a cinquanta miliardi di dollari; la somma di per sé incredibile, viene ridimensionata se rapportata alla dimensione degli attivi e delle masse in gestione di banche e società finanziarie, ma è chiaro che se ci fosse qualche singola istituzione sovra esposta ai fondi Madoff ci sarebbe da temere un danno reputazionale enorme o in casi ancora più gravi perdite notevoli.
Il danno sarebbe soprattutto reputazionale perché le perdite verrebbero subite principalmente dai clienti delle banche, che consapevolmente o su consiglio di queste ultime, hanno investito in prodotti direttamente o indirettamente implicati nello scandalo. A quanto pare i prodotti interessati sarebbero stati venduti solo a clientela “affluent” e non a piccoli risparmiatori. È chiaro poi che nel contesto attuale il fatto alimenta nuovi e fondati dubbi sulla solidità del sistema finanziario e ancora di più sulla sua credibilità, ponendo le basi per una nuova ondata di sfiducia nei confronti delle banche. Una frode sui conti (Parmalat e Cirio insegnano), per cui il mercato è in possesso di dati privi di ogni significato, rende banche e gestori sostanzialmente incapaci di rendersi conto della situazione, così come il compratore di auto usate può accorgersi di essere stato ingannato solo dopo diverse migliaia di chilometri.
Le eventuali colpe si manifesterebbero solo nella misura in cui al cliente sia stato consigliato un investimento non adatto al proprio profilo di rischio, mentre appare evidente fin d’ora il fallimento delle autorità di controllo che per anni non si sono accorte di una rozza e macroscopica truffa. La maggiore e gravissima responsabilità “morale” l’avrebbe chi pur avendo forti sospetti ha evitato di sottrarsi per tempo al rischio; a questo riguardo diversi elementi, tra cui la stranezza dei rendimenti offerti anche in tempi di vacche magre, fanno ritenere che ci si potesse accorgere di un’anomalia inspiegabile, ma come è ovvio, tutto ciò non sarebbe né dimostrabile né scontato.
La dimostrazione che non basta avere un rating tripla A e essere quotati negli Stati Uniti per evitare di fallire in un week-end è stata di gran lunga la conseguenza più grave e nefasta del fallimento di Lehman. Allo stesso modo il mercato ha avuto dimostrazione che non basta essere uno dei principali attori dei fondi hedge, né avere per fondatore un ex presidente del Nasdaq per essere certi di non avere di fronte solo una truffa vecchia come il mondo. Cosa possa produrre la perdita di fiducia e delle elementari certezze nel mondo finanziario è purtroppo un fatto facilmente riscontrabile nel contesto economico attuale. Come molti casi hanno mostrato recentemente il fallimento di un’istituzione finanziaria si ripercuote su clienti che stanno a molte migliaia di chilometri di distanza, mentre i timori su chi possa essere coinvolto non sono immediatamente risolvibili. In quest’ultimo esempio potrebbe addirittura essere implicato chi ha investito e disinvestito anni fa rendendo ancora più difficile determinare con esattezza e tempestività chi è in che misura subirà le perdite.
Al momento si può dire che, sarà per la loro arretratezza o per la loro accortezza, l’esposizione delle banche italiane sia abbastanza contenuta e che i loro clienti non dovrebbero avere cattive sorprese. La più chiacchierata, Unicredit, ha dichiarato un’esposizione di 75 milioni (su mille miliardi di euro attivi) e che nessun cliente italiano avrà perdite (l’esposizione dei clienti si aggirerebbe sugli 800 milioni ma non Italia e non tra i piccoli risparmiatori). Per quanto riguarda il Banco popolare invece, sono stati probabilmente i timori di cancellazione della cessione del 50% di Aletti Gestielle Alternative a Swiss Union Bancaire Privée (tra le più colpite dal caso Madoff) a determinare la negativa chiusura di ieri. Tra le banche europee più esposte ci sarebbero Santander (circa due miliardi di esposizione per i propri clienti) e HSBC (circa 1/1,5 miliardi).