Nei dibattiti che continuano da mesi sull’utilità e le dimensioni degli interventi a sostegno dei settori più colpiti dell’economia è quasi completamente mancato il tema delle pmi.

Si è discusso prima dei problemi patrimoniali delle banche la cui crisi minaccia di trascinare con sé buona parte del sistema produttivo, poi si è passati ai problemi della grande industria, auto e Fiat in testa, e alle misure di sostegno ai consumatori che hanno ridotto repentinamente la propria propensione alla spesa.

La mancanza di considerazione per il mondo delle piccola e media impresa è tanto più colpevole e rischiosa, quanto proprio oggi è più che mai evidente che la vera ricchezza economica italiana è rappresentata dalla vivacità e dalla diffusione delle piccole imprese, senza considerare che sarebbe profondamente ingiusto garantire minori tutele e sostegno agli occupati delle pmi, rispetto ai dipendenti pubblici o agli impiegati di grandi società, finanziarie o industriali.

Si è detto, a ragione, che l’Italia può uscire più rafforzata da questa crisi rispetto a molte altre nazioni europee. Se mai sarà così buona parte di questa “rivincita” sarà imputabile a un tessuto produttivo più solido della maggior parte dei Paesi europei.

Se prima si cantavano i peana alla modernità e all’efficienza dell’economia anglosassone o alla vivacità dell’economia spagnola ora non si trova nessuno che voglia fare a cambio con la nazione che ha scelto di avere una delle capitali mondiali della finanza (con le relative centinaia di migliaia di occupati), né con chi è cresciuto il doppio degli altri con i mutui facili e le nuove case.

Con tutta probabilità i dati finali sui consumi a dicembre certificheranno una situazione meno problematica di quella vissuta mediamente in Europa, a testimonianza di una fiducia e di un’economia meno colpite dalla crisi finanziaria. Il nostro sistema Paese potrà affrontare la crisi con un complesso di pmi selezionate da anni di tassazione elevata e Stato inefficiente, capaci di sopravvivere all’introduzione dell’euro e alla concorrenza cinese e ora più solide di quanto fosse solo qualche anno fa.

Questi elementi di speranza non fanno però venir meno le notevoli sfide che la crisi economica porrà a tutto il sistema. La crisi attuale metterà in seria discussione e sotto stress anche il mondo delle pmi, chiamate a fronteggiare un ambiente economico che si preannuncia durissimo e che non può essere attraversato senza danni seri neanche dalle imprese più dinamiche e efficienti: cali degli ordini a due cifre, volatilità delle materie prime, difficoltà nei rapporti col sistema bancario, rapporti di cambio sfavorevoli non possono essere affrontati contemporaneamente nemmeno con una creatività straordinaria o con incredibili doti di sopravvivenza.

Gli investitori, che a volte si dimostrano meno sprovveduti di quanto sembra, hanno penalizzato le small cap quotate in modo più pronunciato di quasi qualsiasi altro comparto e per una volta la scelta pare difficilmente criticabile. Piani di sostegno che non si vedevano da decenni sono stati messi in campo per salvare il sistema bancario, e ora è difficilmente ipotizzabile che l’Europa possa evitare di seguire l’America sulla strada degli aiuti al più grande dei settori industriali rimasto nei Paesi sviluppati.

Lamentarsi del fatto che siano proprio i settori più colpevoli a ricevere il maggiore sostegno non cancella la necessità di garantirsi un sistema bancario solido o l’esigenza di tutelare chi lavora nel settore che verrà maggiormente messo alla prova. Allo stesso modo non è possibile ignorare gli ostacoli di un bilancio statale traballante e colmo di debiti che rende molto difficile mettere in campo rimedi all’altezza della crisi.

Quali strumenti mettere in campo, a cominciare magari da una riduzione della pressione fiscale, per fare in modo che possa sopravvivere il maggior numero di imprese è una domanda difficilmente rinviabile. I primi mesi del 2009 si preannunciano tremendi e sarebbe ingiustificabile perdere altro tempo soprattutto ora che possiamo recuperare competitività rispetto ai concorrenti. Gli investitori più svegli guardano all’Italia con un interesse che non si vedeva da anni, ci dispiacerebbe deluderli.