L’incremento vertiginoso del prezzo del petrolio degli ultimi mesi ha sortito i suoi effetti nefasti su un’enorme varietà di imprese e settori industriali. L’incremento incide sul costo del trasporto delle merci e sulla spesa che le aziende devono affrontare per l’energia elettrica. Allo stesso modo sono pesantemente colpiti i consumatori e le famiglie costretti ad affrontare i rincari del costo del carburante e l’aumento dei prezzi dei beni acquistati. La corsa del prezzo petrolio sembra al momento inarrestabile e si combina con il continuo apprezzamento dell’euro contro il dollaro che sta falcidiando i bilanci delle imprese esportatrici, nonostante la parziale protezione offerta dalla debolezza del dollaro sull’incremento del greggio.

Come vedremo l’aumento del prezzo del petrolio per alcune particolari imprese sta invece rappresentando un’incredibile occasione di guadagno e di crescita. L’immediato collegamento che si tende a fare tra questo andamento e gli utili delle tradizionali “oil companies” non è però così scontato e forse risulta un po’ semplicistico. Il trend che ha caratterizzato negli ultimi anni il settore petrolifero è stato dominato da un aumento dei consumi superiore all’incremento della produzione. Questa tendenza insieme all’aumento del prezzo sta costringendo e incentivando le oil major a aumentare i propri investimenti per rimpiazzare le riserve che via via vengono consumate.
Un prezzo del petrolio così elevato rende poi conveniente estrarre petrolio in luoghi in cui per la loro complessità e per il loro costo era impensabile investire fino a pochi anni fa. Le riserve più facilmente accessibili sono infatti saldamente in mano ai paesi produttori che spesso sono politicamente instabili e le cui “pretese” negli ultimi anni in termini di partecipazione ai guadagni si sono fatte sempre più pressanti. Sempre più spesso le compagnie petrolifere si trovano a dover estrarre petrolio in acque profonde o dove le condizioni naturali sono avverse al massimo livello. Proprio in Italia (povera di risorse naturali petrolio compreso) si sono sviluppate imprese con tali competenze ingegneristiche nell’estrazione del petrolio che hanno permesso loro una crescita ininterrotta negli ultimi anni.

Saipem, controllata da Eni, ha recentemente comunicato di aver raggiunto il portafoglio ordini più alto della sua storia a oltre 15 miliardi di euro. Saipem opera in acque profonde e in aree remote e partecipa alla realizzazione di alcune delle più importanti pipeline in costruzione nel mondo. Negli ultimi dieci anni ha registrato la crescita più alta tra le società di oil service in termini di portafoglio ordini e le sue tecnologie in alcuni casi fanno in modo che non si possa prescindere da essa per portare a compimento un importante progetto di estrazione. Alcune sue navi per l’estrazione sono prenotate fino al 2010 e tutto fa pensare che la crescita possa continuare in modo consistente anche nei prossimi anni. Pare che, nonostante gli sforzi di Saipem, il maggiore problema della società sia riuscire a soddisfare tutte le richieste dei clienti a cui in alcuni casi è costretta a rinunciare per l’impossibilità di soddisfarle contemporaneamente.

Trevi è invece una media impresa italiana che negli ultimi anni è salita agli onori della cronaca anche per il prestigio delle commesse ottenute (parteciperà alla costruzione della freedom tower a New York). Trevi è tra i leader mondiali nell’ingegneria del sottosuolo (fondazioni) ed è attiva nel settore delle perforazioni. Fondata nel 1954, ha adesso più di 5000 dipendenti e 30 filiali nel mondo. Il portafoglio ordini, a fine 2007 ha raggiunto come nel caso di Saipem, il più alto livello della sua storia a oltre 700 milioni di euro. Gli elevati investimenti in ricerca e sviluppo e personale qualificato l’hanno resa in grado di offrire un alto livello di innovazione tecnologica e di porsi come partner affidabile per molte multinazionali e Stati produttori di petrolio. Anche per Trevi il futuro appare più roseo che mai come ben testimonia la recente joint venture con il gruppo saudita Shoula group che prevede la fornitura di impianti per circa 200 milioni di dollari.
Il fatto che in Italia, che come noto non poggia su un lago di petrolio, ci siano le sopracitate imprese è senza dubbio un valido motivo per non rassegnarci a un futuro di declino economico senza via di uscita.