Dall’inizio della scorsa settimana i mercati hanno mostrato segnali di ripresa (il mercato europeo ha fatto registrare un rialzo del 4%), rispetto alla debacle cui si sta assistendo dall’inizio dell’anno (S&P/MIb -13,5%, Dax -16,2%, FTSE 100 -7,9%). Il recupero è stato innescato da una serie di eventi che hanno indotto il mercato a riconsiderare parzialmente le proprie previsioni più pessimistiche. Il salvataggio di Bear Stearns e da ultimo la facilità con cui UBS è riuscita a finalizzare l’aumento di capitale, reso necessario dalle svalutazioni monstre del suo portafoglio, hanno riportato un po’ di fiducia sui mercati e determinato il recente mini recupero delle borse.
Questo non basta per ritenere conclusa la fase di difficoltà che ha caratterizzato i mercati. Rimangono notevoli le tensioni sul mercato del credito, mentre i timori di ulteriori svalutazioni da parte di banche americane non sono per niente infondati. È quindi ragionevole supporre che la fase di volatilità continui anche nei prossimi mesi. Questa situazione rende ancora più necessaria una riflessione sulla validità che ha per un’impresa la scelta di quotarsi. Infatti una delle conseguenze dell’incertezza dei mercati e del calo dei prezzi delle azioni è la drastica diminuzione di nuove quotazioni sulle borse internazionali. La borsa di Milano non fa eccezione e sono ormai mesi che si è progressivamente ridotto il numero di società che si affacciano sul mercato.

Dato che una nuova quotazione avviene sostanzialmente attraverso la cessione di una parte della società, risulta abbastanza chiaro e comprensibile che quotazioni depresse e mercati scettici non siano esattamente condizioni favorevoli ai venditori. Il fenomeno oltre a deprimere i bilanci delle banche d’affari, per la scomparsa delle pingui commissioni che accompagnano la quotazione delle matricole (qualche punto percentuale del valore dell’offerta), è un’interessante spunto di riflessione per esaminare la secolare e spinosissima questione di ciò che può comportare per una società la quotazione.

Il sistema economico italiano e la borsa
Il sistema economico italiano è tradizionalmente più estraneo alla borsa degli altri sistemi europei per motivi culturali e sociali che contraddistinguono il nostro tessuto produttivo. L’esiguo numero di grandi imprese, il capitalismo familiare diffuso, la scarsa cultura finanziaria e infine l’incertezza normativa sono condizioni che da un lato rendono più difficile affrontare la sfida dei mercati finanziari e dall’altro rendono problematico per gli investitori apprezzare la bontà di un’impresa italiana.

Cosa comporta la quotazione e i suoi benefici
La quotazione richiede spesso infatti una radicale trasformazione della società che si deve dotare di meccanismi di governance adeguati, di processi gestionali e di sistemi di controllo efficaci, senza considerare gli adempimenti che le autorità di controllo richiedono.
Il mercato poi non può fare a meno di ricevere dalla società elementi che lo rendano in grado di apprezzarne l’attività, oltre che una comunicazione chiara della strategia che si vuole perseguire e della modalità della sua attuazione. Il risultato più immediato di tale processo è un salto di qualità notevole per l’impresa e l’accettazione della sfida di essere sottoposti alle provocazioni e critiche quotidiane degli investitori. Critiche e provocazioni che insieme alle richieste delle autorità di controllo costringono la società a un esame approfondito della propria situazione economica, della bontà della propria strategia e in molti casi a una coscienza maggiore di ciò che si sta facendo. Nel lungo periodo la quotazione apre poi alla possibilità di ricorrere al mercato per raccogliere nuove risorse sia sotto forma di aumenti di capitale che di emissione di prestiti obbligazionari e magari di cogliere le opportunità offerte da fusioni e acquisizioni “carta contro carta”. In aggiunta l’ottenimento del credito risulta spesso più facile e meno costoso. Dal punto di vista dell’azionista di lungo periodo, soprattutto se di controllo, la fluttuazione dei prezzi, seppur fastidiosa, è sostanzialmente indifferente, dato che nella quasi totalità dei casi non incide minimamente sulle attività della società e sulla sua capacità di generare reddito.

I rischi della quotazione
Tali considerazioni non devono però indurre a ritenere l’approdo in borsa come una tappa quasi obbligata del percorso di ogni impresa. Innanzitutto si pone il problema dell’effetto devastante che può avere sugli investitori la quotazione di una società impreparata a sostenere tale passo o che non riesce a comunicare efficacemente i rischi e le opportunità dell’investimento a chi si candida a diventarne socio. In secondo luogo se non sono chiari i benefici che si vogliono e possono ottenere con la quotazione si corre il rischio di uno spreco tremendo di energie e di soldi. Questi ultimi possibili errori sono però facilmente superabili da un management capace e da una struttura professionale che con l’aiuto di consulenti-advisor sopperisce all’inevitabile iniziale estraneità ai meccanismi del mercato e alle sue richieste.
Ciò che invece rischia di precludere all’impresa i notevoli benefici derivanti dalla quotazione e che può minacciarne la stessa esistenza è l’adeguamento alle logiche più perverse dei mercati finanziari. L’attenzione esasperata per il risultato trimestrale, l’ossessione per l’incremento del prezzo delle azioni nel breve periodo, magari non suffragato dai “fondamentali” della società, possono snaturare l’impresa che anzi per la sua crescita oltre che per la sua stessa sopravvivenza non può non essere concentrata su una visione di medio-lungo periodo. Cosa sarebbe successo se Microsoft all’inizio degli anni ’80 avesse diminuito gli investimenti per pagare un dividendo maggiore o per ottenere una generazione di cassa nel trimestre superiore a quella precedente? Se Telecom Italia non fosse stata caricata di debiti per ripagare (dopo pochi mesi) i vari proprietari dell’investimento fatto e costretta a vendere innumerevoli asset esteri non avremmo adesso una società più in salute e in grado di competere meglio sui mercati internazionali?

La creazione di valore e i ricatti del mercato
Questi esempi sono solo una parte dei casi che si possono citare riguardo il fallimento di un approccio sbagliato alla quotazione, ma non cancellano né i benefici ottenibili né le altrettanto numerose esperienze positive. Chi si quota però, non deve essere disponibile ai ricatti e alle pressioni di un mercato spesso irrazionale o delle sue parti più malate e avide.
La quotazione è in molti casi un’opportunità da cogliere, ma nella gestione dell’azienda bisognerebbe quasi comportarsi come se non fosse mai avvenuta. Infine è chiaro che i maggiori rischi derivano da un mercato malato (che è la principale origine degli attuali problemi), le cui chance di guarigione e di rieducazione sono tanto più elevate quanti più imprenditori sani e capaci dimostreranno cosa crea veramente valore in un’impresa.