L’ingresso di Soros nella Roma potrebbe determinare il maggiore cambiamento nel panorama calcistico italiano dopo la sentenza Bosman e lo scandalo calciopoli. Se guardiamo alle squadre italiane che hanno vinto con una certa costanza dall’inizio degli anni ’90, dobbiamo ammettere l’assoluta predominanza di Milan e Juventus. La prima è stata la squadra più vincente in Europa, la seconda ha inanellato (indubbiamente con qualche “favorone”) una lunga serie di scudetti ed è andata vicina a vincere più volte la Coppa dei campioni (come dice il più grande allenatore di basket italiano per vincere le finali bisogna prima farle). Notiamo però una costante, oltre alle ottime capacità gestionali (soprattutto del Milan), sia nel primo che nel secondo caso c’è stato il supporto determinante di un azionista di riferimento ricco e generoso che spesso è intervenuto a fine anno a ripianare i bilanci in perdita (discorso a parte meriterebbe l’Inter che, gestita in modo indegno e non avendo vinto niente, è costata al suo presidente una fortuna incalcolabile).
Nessuna delle due squadre si è fatta mancare niente in termini di giocatori negli ultimi anni e sforzi finanziari ingenti sono stati fatti per trattenere i campioni o per comprarne di nuovi, anche a fronte di stagioni fallimentari. La Roma con un budget ridotto e con l’handicap della quotazione in borsa (che giustamente costringe a sottostare a controlli e regole stringenti) ha raggiunto negli ultimi anni risultati impressionanti qualificandosi regolarmente alla Coppa dei campioni, esprimendo il miglior calcio e come eclatante per l’anno in corso risultando la migliore italiana nel cammino europeo. Tutto questo senza poter neppur lontanamente competere con le grandi per l’acquisto dei pezzi pregiati del mercato o dovendo in molti casi lasciar partire i suoi più forti giocatori (Emerson, Chivu, Cafu, Zanetti ecc). Anche in questi mesi si sprecano le voci e le indiscrezioni secondo cui i migliori della rosa sarebbero vittime della corte spietata delle grandi d’Europa la cui potenza di fuoco in termini finanziari è assolutamente impareggiabile dalle casse vuote della finora generosa famiglia Sensi.
Proprio quest’ultima evidenza impone la domanda di quanto sia sostenibile nel lungo periodo questa situazione. Fino a quando l’attaccamento alla maglia impedirà la partenza dei migliori verso stipendi doppi o tripli? Cosa accadrebbe se la Roma dovesse (come accade anche ai migliori) sbagliare una stagione e non qualificarsi per la Coppa? Infine come potrà mai essere raggiunto il sogno Champions senza quelle pedine essenziali di cui nessuna grande in Europa fa a meno (campioni di esperienza o attaccanti spaccadifese)? Analizzare i bilanci degli ultimi due anni della Roma può essere utile per mettere meglio a fuoco la situazione. Il bilancio chiuso a giugno 2006 ha fatto registrare una perdita di 4 milioni di euro (i ricavi pari a 128 milioni di euro sono stati rappresentati per il 16% da biglietti e per il 58% da diritti televisivi). In questa stagione la Roma non ha avuto particolari plusvalenze dalla cessioni di giocatori e ha avuto dovuto scontare il mancato accesso alla Champions league.
Nella stagione chiusa a giugno 2007 sono aumentati significativamente i ricavi (per la partecipazione alla Champions) e la Roma è riuscita a guadagnare qualche milione dalla gestione del parco calciatori raggiungendo in questo modo un utile di circa 10 milioni. Infine l’ultima semestrale chiusa a dicembre non ha fatto registrare una perdita solo grazie alla cessione di Chivu.
I conti sono presto fatti: la situazione attuale non solo non permette alla Roma di competere con le grandi sul mercato, ma se dovesse mancare la qualificazione alla Champions occorrerebbe immediatamente procedere alla cessione di qualche giocatore per non chiudere in perdita. Infine anche negli anni buoni la Roma non sarebbe in grado di adeguare il salario dei suoi giocatori più forti a quello pagabile dalla concorrenza senza infrangere il delicatissimo equilibrio dei suoi costi e ricavi. Lo scenario è chiaro ed è costituito da una situazione estremamente fragile e debole.
Per il salto di qualità occorrerebbe un azionista solido in grado di fare gli investimenti iniziali per portare la rosa al livello delle migliori in Europa e per garantire la continuità anche in caso di un’eventuale stagione sbagliata. Soros non solo risponde a questa esigenza, ma porterebbe competenze manageriali di assoluto livello che non potrebbero che migliorare il già ottimo management romanista. Infine, ma siamo nel campo dell’indimostrabile, porterebbe anche quel peso “politico-finanziario” che inevitabilmente manca a un azionista nelle mani delle banche creditrici. Per concludere il problema non è se la Roma continuerà a vivere con o senza Soros (al massimo si cede un pezzo pregiato), ma quali ambizioni è lecito che i romanisti abbiano ogni maledetta domenica (o mercoledì).