Che il rapporto del nuovo esecutivo con il sistema bancario fosse molte diverso da quello intrattenuto dal precedente presidente del consiglio era cosa nota, ma forse anche i più pessimisti tra gli esponenti del mondo bancario nostrano non si aspettavano le dichiarazioni rese dal neo-ministro dell’economia a poche ore dalla sua nomina. L’attuale super-ministro e autore del “caso letterario” La paura e la speranza alla domanda su quali italiani dovranno fare sacrifici in futuro ha indicato due categorie molto precise: le banche e chi incassa la rendita petrolifera.
Su chi incassa la rendita petrolifera non occorrono grandi voli di fantasia e analisi particolari: in Italia quando si parla di rendita petrolifera si parla principalmente di Eni che negli ultimi anni ha inanellato una serie impressionante di bilanci record e il cui controllo e ancora saldamente nelle mani dell’azionista pubblico. Più difficile è pensare a una vendetta dell’attuale premier contro i proprietari di Saras (Moratti) e Erg (Garrone), il cui business è volatile per sua natura e non così immediatamente legato al prezzo del petrolio.
Per quanto riguarda le banche è difficile immaginare come Tremonti riuscirà a estrarre più entrate tributarie dai bilanci degli istituti di credito, sia perché gli strumenti sono potenzialmente infiniti sia perchè è universalmente noto quanto la fantasia del professore di Sondrio abbia pochi limiti.
Alla luce delle dichiarazioni di cui sopra è comunque utile soffermarsi sulla rottura che l’atteggiamento del neo ministro rappresenta rispetto a quanto messo in atto dal governo Prodi. La vulgata vuole che con il decreto sulle liberalizzazioni di Bersani le banche siano state penalizzate dalle nuove leggi sulla portabilità del mutuo e dei conti correnti, ma in realtà se si esaminano i dati dei bilanci bancari non si notano effetti degni di nota. Gli spread sui tassi di interesse non hanno mostrato il minimo segno di debolezza mentre il margine di interesse continua a rimanere una fonte certa di guadagno per le banche in un contesto in cui soffrono i ricavi da commissione e da trading colpiti invece dalla recente turbolenza finanziaria.
Anche il mutuo di sostituzione che doveva essere l’ancora di salvezza per le famiglie messe in difficoltà dall’aumento dei tassi, se il mutuo prevedeva tassi di interesse variabili (come purtroppo è il caso della maggioranza delle famiglie che hanno contratto un mutuo negli ultimi anni), non sta portando reali benefici, dato che la soluzione spesso proposta al cliente non è altro che un taglio della rata accompagnato da un allungamento del periodo di tempo necessario per il rimborso del mutuo. Non ci sono invece dubbi sul regalone fatto alle banche con il taglio dell’Irap che favorendo di fatto le imprese ad alta intensità di lavoro dipendente comporta da subito risparmi fiscali per la maggior parte delle banche italiane ancora fortemente a vocazione retail e commerciale.
L’annuncio di Tremonti è invece un chiaro segnale di discontinuità che farà preoccupare gli azionisti delle banche italiane. A questo proposito sono molteplici i settori su cui si potrà intervenire per indirizzare a comportamenti più virtuosi gli istituti di credito. Tra le tante questioni ancora sul tavolo rientra sicuramente quella dell’industria del risparmio gestito. Spesso i prodotti venduti alla clientela allo sportello, fondi comuni, obbligazioni strutturate, polizze assicurative, hanno garantito alle banche collocatrici pingui commissioni indipendentemente dall’effettiva efficacia del prodotto stesso. I prodotti venduti e destinati alla tutela del risparmio sono risultati troppe volte scadenti, ingiustificatamente costosi e in qualche caso opachi e dannosi. Pagare il 2,5% all’anno su un fondo azionario che sottoperforma costantemente il mercato o che viene gestito passivamente è un’enormità unica nel panorama europeo, così come le commissioni di ingresso di alcune obbligazioni strutturate assolutamente perdenti rispetto a un Bot o ad alcune buone obbligazioni corporate.
Altro tema caldo è quello del credito al consumo che negli ultimi anni si è sviluppato a ritmi sostenuti nel nostro Paese e sui cui sarebbe probabilmente opportuna una vigilanza più stringente. Unirsi al coro di chi dipinge le banche italiane come mostri avidi e spietati è sicuramente sbagliato soprattutto alla luce di quanto sta emergendo nel contesto economico attuale.
La gestione prudente e accorta del rischio fatta in Italia ci sta al momento mettendo al riparo dalle disavventure capitate a Northern Rock, Socgen e a altre prestigiose istituzioni finanziarie europee e americane. Disavventure e perdite miliardarie che sono in realtà la minaccia più grave per le famiglie e i risparmiatori.
Allo stesso modo non sarebbe disprezzabile una maggiore attenzione alle posizioni di rendita di cui le banche godono per mancanza di concorrenza e per l’enorme asimmetria informativa che c’è tra banche stesse e clienti, inevitabilmente meno esperti delle prime di finanza e economia. In attesa di capire in che direzione andranno i provvedimenti che il governo intende adottare ci limitiamo a registrare quanto siano diverse le “amicizie” e le preferenze del nuovo governo tra i settori dell’economia. Una diversità tutta da scoprire quando via via nel corso dei prossimi cinque anni (o forse dei prossimi mesi…) si presenteranno sul tavolo alcuni eterni problemi del nostro universo finanziario: la governance delle popolari e dulcis in fundo gli assetti delicatissimi dell’inseparabile duo Mediobanca- Generali.