Il taglio di 5.000 dipendenti annunciato da Telecom Italia, oltre che suscitare le reazioni contrastanti dei diversi soggetti interessati, rappresenta un’occasione per riflettere sul tema del futuro della principale compagnia telefonica italiana. Nello specifico il piano annunciato da Telecom Italia prevede il taglio di circa cinquemila dipendenti entro il 2010 per ottenere una riduzione dei costi a regime di circa 300 milioni di euro all’anno, mentre i relativi oneri di ristrutturazione saranno pari a circa 250 milioni di euro.
Dopo un piano industriale che aveva profondamente deluso la comunità finanziaria per la mancanza di indicazioni chiare sulla strategia della società e per le ipotesi prudenti e conservative sugli utili futuri, l’annuncio dei tagli è il primo vero segnale di rottura dell’amministratore delegato Bernabè nei confronti della criticatissima gestione Tronchetti Provera. Bernabè è infatti succeduto al presidente di Pirelli dopo un travagliato periodo iniziato con la famigerata lettera del consigliere economico di Prodi, Rovati, in cui si consigliava caldamente l’adozione di una nuova strategia aziendale e finito con la cessione della quota di Olimpia e della maggioranza relativa di Telecom a un pool di investitori finanziari italiani e alla spagnola Telefonica, uniti nella nuova holding Telco. Dopo un’iniziale fragile assetto azionario seguito alla privatizzazione in cui un nocciolo di imprenditori italiani controllava la società con una partecipazione di pochi punti percentuali, con “la madre di tutte le opa” Colaninno prese il controllo di Telecom nel 1999 cedendola, con una lauta plusvalenza, carica di debiti a Tronchetti Provera due anni più tardi.
La gestione Pirelli è stata caratterizzata da un progressivo ridimensionamento della presenza di Telecom Italia sui mercati esteri (tra le altre, cessione di Tim Hellas, Telekom austria, Avea), con disinvestimenti giustificati da un lato dalla mole di debiti che gravavano sulla società e dall’altra dall’esigenza di pagare cospicui dividendi alla controllante Olimpia a sua vola carica di passività e soggetta alle richieste dalle banche finanziatrici. Senza addentrarsi nei meriti o demeriti industriali del precedente ad di Telecom quello che emerge in modo netto è che gli ultimi cinque-dieci anni di storia ci hanno consegnato una Telecom sostanzialmente ridotta alla presenza sul mercato italiano e brasiliano, mentre nel mercato internazionale si sono creati colossi sovranazionali in grado di competere efficacemente in diversi mercati nazionali.
A parziale discolpa della precedente gestione si devono senz’altro riconoscere il peccato originale di una privatizzazione (l’ennesima) miope e poco lungimirante e il peccato mortale di un’opa fatta più per ragioni finanziarie che industriali che ha seppellito la società sotto un mare di debiti; decisamente la peggior condizione possibile in un mercato che richiedeva risorse per l’espansione. Infine il settore ha vissuto probabilmente le maggiori strette regolamentari in Europa con continue azioni della comunità europea per migliorare la concorrenza e abbassare le tariffe e i costi per il cliente. Azioni di tale entità che si può certamente affermare che le spese per telefono e affini hanno contribuito negativamente all’inflazione negli ultimi anni. Alla fine di questo lungo e tormentato percorso rimane una società controllata, come dicevamo, da un holding, Telco, il cui socio di maggioranza relativa è Telefonica (42,3%), accompagnata dal meglio del meglio del sistema Paese (Mediobanca, Generali, Intesa Sanpaolo, Sintonia).
Cosa ci facciano banche e assicurazioni blasonate nel capitale di una società telefonica rimane per noi ingenui profani un mistero. Un mistero per la verità presto risolto se immaginiamo una soluzione di sistema studiata ad hoc per impedire l’acquisizione di Telecom da parte di Telefonica, interessata alla leadership nel vivace mercato sudamericano e ad aggiungere il vicino e per nulla estraneo mercato italiano alla serie di Paesi che già la vedono protagonista. Un’idea che sarà peregrina ma che sembra perfetta per spiegare i fatti e i dibattiti attuali su Telecom. Il primo riguarda l’enfasi sulla separazione della rete, asset che giustamente viene ritenuto strategico per il Paese. Una separazione societaria o funzionale (meglio la prima) metterebbe la rete al riparo di qualsiasi acquirente futuro e in qualsiasi scenario per Telecom Italia “ex rete”. Il secondo, salito agli oneri della cronaca settimana scorsa, è la ricerca di maggiore efficienza e di maggiori utili.
Se si vuole che gli “italiani” contino quando si sarà seduti sul tavolo delle trattative per determinare prezzo e governance futura (Alitalia insegna) serve un’azienda snella e profittevole e magari difficilmente scalabile sul mercato. L’efficienza è tra l’altro la migliore ricetta contro scalate ostili dato che il sovrapprezzo pagato sarebbe difficilmente recuperabile con il miglioramento della gestione. Facciamo gli indovini: due anni di respiro per Telecom in cui si sistema la questione rete e in cui in un crescendo rossiniano di notizie positive e miglioramenti di utili e ricavi si consegna una Telecom Italia splendente come non mai al matrimonio con Telefonica. Una missione per cui l’attuale ad sembra perfetto. Sperando che l’esito finale, industrialmente e strategicamente sensato, lasci in qualche modo al sistema Italia ancora voce in capitolo sulle telecomunicazioni nostrane.