La questione Alitalia
La questione Alitalia è da più di due anni al centro del dibattito politico e economico del nostro Paese con un’attenzione che è stata raramente riservata a vicissitudini economiche e societarie. Nemmeno la vicenda Fiat, lo scandalo Parmalat e la stagione delle opa bancarie avevano meritato tale esposizione mediatica per così lungo tempo. L’attenzione così esasperata per le sorti del nostro vettore nazionale è rintracciabile nel groviglio di interessi economici, politici e sindacali che toccano la partecipata del Tesoro. Il punto fermo di ogni discussione sul tema parte da un’evidenza incontestabile: Alitalia è un’azienda virtualmente fallita che nelle condizioni attuali non ha la minima chance di affrancarsi da tale situazione e che necessita di una soluzione rapida.
Alitalia è strategica
Tralasciando ogni analisi sulle ragioni di questo disastro imprenditoriale, il problema è che nessun governo si può permettere di dichiararne il fallimento lasciando che il mercato faccia il suo corso e che i concorrenti si approprino a costo zero della sua quota di mercato. Alitalia è strategica per un Paese come l’Italia a forte vocazione turistica e lo è ancora di più per una città come Roma e per molte regioni italiane che sul turismo basano una parte importante della propria economia. Alitalia è fondamentale per molte imprese che richiedono collegamenti efficienti con i mercati esteri, tanto più se, come nel nostro caso, il sistema produttivo è diffuso su tutto il territorio nazionale. Infine le sorti di migliaia di famiglie sono ancora oggi legate ai destini della nostra compagnia di bandiera; tutto questo senza considerare il valore simbolico che rappresenta in termini di “dimostrazione pubblica” delle capacità imprenditoriali nazionali.
I vincoli nel dossier Alitalia
Ad aggravare la situazione si deve rilevare che la natura di società quotata e il ruolo predominante dell’azionista pubblico, impongono che ogni proposta di risanamento sia soggetta alle stringenti regole delle autorità di controllo e alle norme dell’Unione europea che vuole evitare ogni distorsione della concorrenza attraverso aiuti di Stato. Per capire quanto sia delicata la situazione è sufficiente osservare quanto successo negli ultimi mesi quando il titolo impazzito reagiva con violenza alle mezze dichiarazioni e proclami di ministri, parlamentari e sindacalisti e l’Unione Europea richiedeva continui aggiornamenti sullo stato di avanzamento dei lavori.
La proposta di Prodi
La situazione è ora in mano al Governo Berlusconi che sta valutando un’ipotesi di lavoro completamente differente da quella elaborata dal Governo Prodi. L’ipotesi del precedente governo prevedeva l’ingresso come azionista principale di Air France (tramite adesione del Ministero del Tesoro all’offerta pubblica di scambio di Air France stessa) che, dopo un aumento di capitale di un miliardo di euro, avrebbe dato il via al turnaround dell’azienda sulla base di un nuovo piano industriale. Il piano industriale 2008-2010 si basava in una prima fase sull’efficientamento delle rotte e su un taglio dei costi, mentre in una seconda fase, a partire dal 2010, ci sarebbe stato il rilancio.
Perché è stata accantonata la proposta di Prodi
Come è noto il piano è stato accantonato e possiamo riassumere brevemente le ragioni che hanno determinato il nuovo corso. Il piano prevedeva lacrime e sangue con licenziamento di migliaia di dipendenti, un provvedimento che purtroppo sarà difficilmente evitabile da chiunque voglia rimettere in sesto Alitalia. L’offerta di Air France avrebbe determinato l’abbandono di Malpensa con conseguenze occupazionali gravi. Infine, ed è la ragione più determinante, il governo italiano avrebbe avuto un’influenza del tutto trascurabile sia su Alitalia sia su Air France perdendo completamente il controllo della società. Reclami erano arrivati in modo più o meno velato anche da Intesa-San Paolo, sponsor dichiarato di Air One, che aveva lamentato la mancata partecipazione alla fase finale dell’offerta e soprattutto il mancato accesso alla “data room”. Una fase che rendeva possibile esaminare quelle informazioni dettagliate sui conti che normalmente non vengono comunicate per non dare vantaggi ai concorrenti.
La proposta Tremonti
Di tutt’altra impostazione è invece il progetto su cui è al lavoro il ministro Tremonti. I principi cardine che stanno ispirando l’azione del Governo sono sostanzialmente due: il tentativo di non perdere l’influenza sulla società, sponsorizzando una cordata italiana (con qualche imprenditore amico) certamente più controllabile anche in futuro di una società con alle spalle il peso politico della Francia; la volontà di gestire in modo meno traumatico possibile la fase di transizione verso il risanamento sia per quanto riguarda le ricadute occupazionali sia per quanto riguarda gli effetti su Malpensa e Fiumicino. Il Ministro dell’economia ha annunciato un decreto che introduce una deroga alla legge sulle privatizzazioni che mal si presta alla disperata situazione in cui versa Alitalia. Operativamente si procederà in questo modo: il prestito ponte da 300 milioni di euro verrà imputato a patrimonio netto per rimandare la necessità di ricapitalizzazione e guadagnare tempo; Alitalia procederà alla nomina di un advisor (cosa che ha fatto ieri nominando Intesa-Sanpaolo) che avrà il compito di trovare un soggetto industriale interessato all’acquisto e al rilancio dell’impresa. Tra la data di nomina dell’advisor e la presentazione dell’offerta “non sono dovuti gli obblighi informativi previsti per le società quotate”, il che togliendo da sotto i riflettori il processo di privatizzazione aumenta di molto la libertà di azione dell’advisor e leva alla società l’onere di una continua comunicazione al mercato (peraltro abbastanza inutile data la conclamata situazione fallimentare e l’attuale mancanza di ogni visibilità sulle prospettive della società).
Quale futuro per Alitalia
L’ipotesi più accreditata al momento prevede la costituzione di una cordata italiana che presenti un’offerta e dia vita al progetto di rilancio. I punti fermi sembrano essere Air One come partner industriale, è l’unico “italiano” con competenze nel settore, Intesa Sanpaolo come advisor e con un ruolo pivot di socio finanziario, un pool di imprenditori italiani disposti a scommettere sul risanamento di Alitalia, tra questi Colaninno potrebbe avere la parte più importante. Dal punto di vista politico invece il rischio reputazionale per il governo e il ministro è molto più alto della proposta precedente. La scelta attuale determina responsabilità chiare e precise in capo al Governo che si è assunto direttamente l’onere di salvare Alitalia. Non ci sono alibi né scuse né sarà possibile scaricare le ricadute di eventuali sacrifici su un partner straniero avido e senza cuore. La soluzione Prodi (che era una soluzione) lasciava totale carta bianca a Air-France che si assumeva l’onere di non far fallire la società e di mantenere un numero adeguato di voli a Fiumicino, diventando il principale operatore in Italia. Il governo italiano però non avrebbe avuto sostanzialmente più voce in capitolo sulla società. La proposta Tremonti è più ambiziosa e non rinuncia al ruolo dello Stato ma non è ancora una soluzione. Il tempo stringe ma se avrà successo potremo dire come si spera in Campania: Tremonti Santo subito.