Il termine che meglio si presta a definire quello che sta accadendo in questi giorni sui mercati è senza dubbio la parola panico.  Le borse europee hanno perso in media il 5% in soli 3 giorni di contrattazioni, mentre i titoli bancari e assicurativi viaggiavano verso i minimi storici. La nuova ondata di vendite è stata ancora una volta originata dagli allarmi sulla solidità delle banche americane, prostrate dalle conseguenze del rallentamento economico e dal calo dei prezzi degli immobili e dai timori sull’effettiva capacità delle autorità monetarie USA di porre rimedio agli squilibri presenti sul mercato. Il rallentamento economico ha infine messo a nudo tutta la fragilità del modello di concessione dei crediti e di finanziamento del sistema bancario americano.

Che il consumatore americano medio fosse in debito con le banche ha smesso da anni di essere una novità, ma nessuno aveva previsto e considerato gli effetti che la bolla immobiliare e la complessità degli strumenti finanziari potevano avere in presenza di un rallentamento economico e di un cambiamento pronunciato di alcune variabili macro (prezzo delle materie prime su tutte). In questo momento una buona parte dei consumatori USA non riesce a far fronte alle rate di rimborso dei finanziamenti ottenuti dalle banche, mentre il calo del prezzo degli immobili mette in seria discussione il valore delle garanzie concesse alle banche stesse. La dinamica finora illustrata non è però ancora sufficiente a spiegare quanto sta avvenendo sui mercati azionari e del credito.  Quello che moltiplica enormemente le difficoltà del sistema e i timori del mercato fino al panic selling cui stiamo assistendo è il fatto che nessuno sia in grado di dire con precisione chi e in che misura abbia in portafoglio i crediti dubbi. Cartolarizzati divisi e reimpacchettati sono stati venduti a banche, assicurazioni, fondi pensione  e hedge funds di mezzo mondo.

Si capisce bene quindi che la notizia del fallimento della banca regionale IndyMac (32 miliardi di dollari di attivi) abbia destato i peggiori incubi del mercato. Incubi che hanno assunto proporzioni inquietanti, quando sul mercato sono girati i primi rumours sulle difficoltà delle finanziarie parastatali Fannie Mae e Freddie Mac nei cui bilanci stanno più della metà dei mutui immobiliari americani. Le autorità monetarie hanno da prima salvato IndyMac e poi hanno assicurato al mercato che garantiranno il sostegno illimitato ai due colossi dei mutui a stelle e strisce. Due interrogativi hanno quindi dominato il mercato. Il primo è sull’opportunità di garantire un sostegno pubblico alle istituzioni finanziarie in difficoltà dati i possibili effetti distorsivi che queste azioni possono creare sul mercato. (le banche virtuose potrebbero essere incentivate ad assumersi rischi eccessivi nella convinzione che verrebbe comunque posto rimedio alle eventuali conseguenze negative). I dubbi sollevati sulle conseguenze degli incentivi a un “moral hazard” diventano però irrilevanti quando l’alternativa è il collasso dell’industria del credito.

Il secondo è se gli USA hanno la forza per sostenere tutte le perdite che potrebbero emergere dai bilanci delle banche. Questa è una domanda a cui nessuno può ora rispondere e il solo fatto che a un tale interrogativo non si trovi una soluzione immediata dà in modo evidente un’indicazione sull’attuale situazione economica e rende inevitabile l’atteggiamento di paura dei mercati. Per il momento si può affermare che la politica adottata dalle autorità americane avrà nell’immediato un impatto negativo sul dollaro rendendolo ancora più debole nei confronti dell’euro. Il circuito vizioso rallentamento economico, aumento delle sofferenze bancarie, dollaro debole e prezzo del petrolio alto può essere spezzato solo da una serie di dati positivi sull’economia americana che riporti fiducia sul mercato. Tra gli investitori si sta facendo largo l’opinione che questa eventualità si possa verificare nell’autunno del 2009 (i mercati azionari anticiperebbero di 3-4 mesi), nel frattempo non si vede all’orizzonte la possibilità di un’inversione del trend, considerato che l’attuale crisi ha finora solo marginalmente colpito l’economia reale. Certamente il rilancio non partirà dal mondo finanziario che si sta irreparabilmente avvitando su se stesso. L’unica alternativa è che Stato e istituzioni finanziarie ritornino a investire sulla crescita e sullo sviluppo privilegiando le realtà più dinamiche e sostenendo quel rilancio economico che la finanza globale malata e “fuori fase” non sarà mai in grado di provocare.