Dagli ultimi giorni di luglio i mercati azionari hanno cominciato a rimbalzare con sedute di borsa decisamente positive, che hanno determinato un parziale recupero per molti titoli azionari dopo mesi di pessimi risultati.
Ad accendere la scintilla di questo rialzo agostano è stato il netto calo del prezzo del petrolio (il brent ha perso il 20% dai massimi passando da 145 dollari di metà luglio a 113 di venerdì), insieme a risultati semestrali non particolarmente deludenti.
Qualche timido segnale di miglioramento è arrivato anche dal sistema finanziario con un piccolo calo dell’Euribor.
Nonostante notizie positive che da troppo tempo si facevano attendere, il mercato sembra ancora decisamente scettico sugli scenari futuri e non ha nessuna fretta di tornare ad acquistare. È diffusa la convinzione che dal sistema bancario americano possano arrivare ancora brutte sorprese, mentre le cause che hanno portato alla crescita vertiginosa del prezzo del petrolio e alla debolezza estrema del dollaro non sembrano poter essere eliminate nel breve termine.
Chi è rimasto scottato dalla discesa vertiginosa delle azioni non ha ancora ricominciato a comprare come testimoniato sia dai pessimi dati registrati ancora una volta dal risparmio gestito italiano a luglio (13,6 miliardi di euro di deflussi di cui 2,6 solo per gli azionari), sia dai bassissimi volumi degli scambi sui mercati azionari.
A questo punto si possono citare gli innumerevoli modi che gli investitori più smart stanno usando per passare indenni questa crisi, guadagnandoci magari qualche soldino: ci sono gli shortisti (ma ci vuole grande abilità e soprattutto grande freddezza, oltre che corazon), i trader che sfruttano il rialzo di corto respiro e gli arbitraggisti. Non è un caso che siano proprio gli hedge fund, che godono di estrema libertà di azione, a patire meno la crisi sia in termini di performance che in termini di raccolta.
In questo contesto anche nella seconda settimana di agosto i fondi sovrani arabi hanno mostrato di poter esercitare un ruolo impensabile fino a qualche mese fa; per questo non è tempo perso osservare quali siano i settori che destano i maggiori appetiti dei nuovi soggetti che si sono fatti largo prepotentemente nei mercati occidentali.
Sembrerà incredibile dato quanto scritto sui giornali negli ultimi 12 mesi, ma i fondi sovrani sono stati protagonisti sia degli aumenti di capitale (in alcuni casi riservati) delle banche americane e europee costrette a svalutazioni e perdite monstre sia del salvataggio di numerose società immobiliari europee. Nell’ultima settimana, per esempio, si sono rafforzate le voci di un interessamento di fondi arabi sia per le enormi aree di sviluppo possedute da Risanamento alle porte di Milano (Milano S. Giulia a area Falck a Sesto San Giovanni) sia per l’entrata come possibili partner in Aedes (altra storica società immobiliare italiana). Sempre negli ultimissimi giorni si è parlato con insistenza di un ingresso di un fondo sovrano nella banca francese Natixis.
A prescindere dal fatto che queste trattative si concludano con un ingresso dei fondi sovrani, rimane il fatto evidente che questi investitori stiano ragionando con logiche molto diverse dai mercati finanziari. La crisi di borsa è partita proprio da preoccupazioni sul settore immobiliare e i titoli del settore sono stati i primi a sentire la crisi, immediatamente dopo sono state le banche a segnare il passo con svalutazioni e crolli delle quotazioni vertiginosi.
Pensare che i fondi sovrani pecchino di inesperienza e incompetenza è decisamente ingiustificato, fosse solo per il fatto che a Dubai ci sono più operatori finanziari europei che cittadini locali e che le maggiori case di investimento europee fanno la fila per offrire i propri consigli. Altrettanto superficiale sarebbe pensare che pieni all’inverosimile di petroldollari siano del tutto indifferenti alle sorti degli investimenti fatti. Aver accumulato ricchezze incredibili grazie a una risorsa naturale che un giorno potrebbe anche perdere la propria importanza ha forse contribuito a privilegiare un’ottica di investimento di lungo periodo.
Mettiamoci pure tra i più convinti pessimisti sulle sorti dell’economia internazionale e pronostichiamo una recessione anche seria e prolungata, sicuramente gli immobili rimarranno dove sono e con la ripresa economica ricominceranno a seguire quel trend di lungo periodo di incrementi lievi ma costanti.
Il sistema bancario, anche ammettendo abbia davanti a sé un futuro incerto per un’economia debole e per la montagna di titoli di dubbia qualità che ancora stanno nei bilanci, non può ovviamente (altrimenti meglio per tutti dedicarsi al settore primario) essere considerato finito e le istituzioni sopravvivranno anche a questa crisi ricominciando a macinare utili.
Il ragionamento di fondo è abbastanza lineare: data l’incertezza e la velocità con cui cambia l’ambiente competitivo, meglio mettersi al sicuro che investire in settori che possono essere destinati all’obsolescenza o in imprese che potrebbero non avere la forza di reggere.
Per quanto possa essere criticabile questa linea d’azione almeno non può essere accusata di opportunismo o di ricerca del profitto di breve periodo. Certo è che rassegnarsi a questa filosofia è decisamente sconfortante, anche perché nei fatti è come rinunciare a quella capacità di correre rischi e di investire in nuove idee e progetti che è l’origine del nostro benessere; oltre che, in definitiva, l’unico modo per uscire dalla crisi.