A parte una stanca reporting season che non ha regalato grosse emozioni e novità a Piazza Affari, l’ultima settimana di luglio si è fatta notare per un’operazione straordinaria tanto inattesa quanto degna di nota che ha rivoluzionato la galassia CIR-COFIDE guidata dalla famiglia De Benedetti.

L’operazione ha catturato inevitabilmente l’attenzione del mondo economico e politico sia perché coinvolge uno dei gruppi editoriali più importanti d’Italia (La Repubblica tramite la società quotata L’Espresso), sia perché l’ingegner Carlo De Benedetti è stato ed è uno dei protagonisti indiscussi della finanza italiana. A nessuno è sfuggito poi il nome dell’advisor finanziario dell’operazione, che pur non intrattiene rapporti di eccessiva confidenza con l’ex Presidente di Olivetti, a riprova del fatto che, quando da questa parte della Alpi bolle qualcosa di grosso in pentola, Mediobanca rimane ancora un partner irrinunciabile.

La struttura del gruppo De Benedetti fino allo scorso 31 luglio presentava una capogruppo, Cofide, la cui unica attività era la partecipazione detenuta nella subholding CIR. CIR a sua volta controllava società industriali operanti nei settori più diversi: dal settore delle utilities (Sorgenia), passando per la sanità (Holding Sanità e Servizi), l’automotive (Sogefi), i servizi finanziari (Jupiter, Oakwood, CIR International e Ciga/Medinvest), finendo con il mitico Gruppo Editoriale L’Espresso, società editrice de La Repubblicasempre più al centro delle vicende politiche italiane (rileggere per promemoria l’ultima intervista fatta a Tavaroli che ha sollevato un polverone colossale nel mondo politico della sinistra).

Senza entrare nei dettagli tecnici, abbastanza noiosi e che in gran parte dovranno ancora essere comunicati, il risultato finale della riorganizzazione è la separazione societaria de L’Espresso dal resto delle attività controllate da CIR. Ci saranno quindi due CIR (che per comodità e con un grande sforzo di fantasia chiameremo CIR1 e CIR2): la prima (CIR1-scissa) avrà come unica partecipazione L’Espresso, che resterà quotata a Milano, e controllata da Cofide; la seconda (CIR2-beneficiaria) rimarrà con le rimanenti ed economicamente più pesanti partecipazioni industriali, e sarà parimenti controllata da Cofide.

A questo punto inizia la parte divertente della vicenda che prende spunto da una semplice domanda: perché dopo i sei mesi di borsa più brutti degli ultimi 20 anni in un afoso giovedì di luglio milanese Carlo e Rodolfo De Benedetti hanno deciso di riorganizzare il gruppo separando l’editoria e concludendo un’operazione che poteva essere fatta in un qualsiasi momento degli ultimi cinque anni?

Per rispondere a questa domanda occorre premettere che il settore dei media è stato in assoluto uno dei più penalizzati dall’ultima crisi. L’industria, che vive della pubblicità degli inserzionisti, è stata fortemente impattata dalla riduzione della spesa per marketing delle aziende. Il titolo L’Espresso non ha fatto eccezione (-50% dall’inizio dell’anno) e ha contribuito a contagiare la capogruppo. Da questo punto di vista i prossimi mesi non dovrebbero riservare sorprese positive e i dati di settore continueranno a essere negativi.
Per questo si può facilmente presumere che, dopo la separazione, CIR1 (L’Espresso) sarà penalizzata in modo più marcato di CIR2 anche per i meccanismi di arbitraggio (short CIR1 long CIR2) che gli hedge fund metteranno in atto e che difficilmente non avranno successo.

Premesso che dal punto di vista strettamente economico l’operazione non aggiunge un solo euro di valore, è chiaro che il primo senso della riorganizzazione può essere individuato nel tentativo di far emergere in modo più evidente il valore della parte non editoriale. L’Espresso è dal punto di vista politico una società di importanza capitale, ma nel contesto attuale assai debole economicamente. È poi difficile sostenere che abbia qualche senso tenere quotata una holding pura (CIR1) la cui unica attività è a sua volta quotata e quindi perfettamente replicabile dal mercato.

È quindi decisamente probabile che dal giorno immediatamente successivo alla scissione, la vecchia CIR schiacciata da risultati poco brillanti si candidi a essere delistata o a essere lo strumento con cui delistare L’Espresso. Si presume che il fatto si verificherà quando l’azionista ultimo ne potrà trarre la massima convenienza (ai minimi di borsa).

Questi sono i risvolti economici e finanziari che interessano i mercati, ma limitarsi a tali aspetti rischia di non far cogliere tutti i possibili significati dell’operazione. Innanzitutto emerge la volontà di separare ciò che è business (CIR2) e che verrà controllato da Rodolfo De Benedetti (meno interessato al “mondo Repubblica”) da ciò che ha una valenza politico-culturale, creando una società molto simile all’attuale RCS (governance esclusa) che invece rimarrà saldamente nelle mani dell’ingegner Carlo, risolvendo forse in questo modo una possibile diversità di vedute.

Infine, è stato lo stesso futuro ad della vecchia CIR a dichiarare che non è escluso che «in futuro altri asset editoriali entrino a far parte della holding che controllerà le attività media». Questo è decisamente lo scenario più interessante considerato ormai che un gruppo media può essere interessato alla carta stampata, a internet e alle televisioni.
Una cosa è pacifica: quanto successo settimana scorsa è solo il primo capitolo di un libro molto interessante e pieno di colpi di scena, ma occorreranno mesi per poter vedere il finale.