A due giorni dalla presentazione dei dati dell’ultimo trimestre che si preannunciano tutt’altro che positivi, Fiat a sorpresa ha annunciato un’intesa industriale con l’americana Chrysler. Senza esborsi di cassa Fiat avrà da subito il 35% del produttore americano con un’opzione per salire al 55% in un secondo momento.

L’accordo ha tutte le caratteristiche di un’alleanza industriale di medio-lungo periodo che potrebbe ridisegnare profondamente il business auto del gruppo Fiat. I temi all’ordine del giorno per il gruppo torinese sono da mesi invariati e sono principalmente una dimensione inadeguata rispetto ai concorrenti (un problema che si trascina da quasi un decennio) e le contromisure che si dovranno o potranno mettere in atto contro gli effetti della crisi internazionale che sta massacrando il settore auto a tutte le latitudini.

A questa premessa si deve aggiungere il fatto che Chrysler, come tutti i player americani, è in serissime difficoltà finanziarie, ha visto le vendite ridursi del 30% e ha una gamma di prodotti perdente composta da minivan, Suv e pick-up (marchi Chrysler, Dodge e Jeep). L’offerta auto di Chrysler deve essere rivista in profondità dato che prima un petrolio alle stelle e poi le crescenti sensibilità ambientali degli americani, acuitesi con l’avvento di Obama, l’hanno resa poco adatta al futuro del settore auto, senza considerare che la ridotta capacità di spesa del consumatore Usa potrebbe spostare la domanda sui segmenti più economici del mercato. L’alleanza con Fiat diventa poi il principale punto di forza del piano che Chrysler dovrà presentare al governo americano per ottenere i prestiti necessari a evitare il fallimento.

Il 35% del produttore americano verrà “pagato” da Fiat con l’apporto della propria tecnologia e competenza nelle vetture di piccola cilindrata e nei motori a basse emissioni, oltre che con l’indubbia esperienza che Marchionne può vantare nella ristrutturazione di aziende in difficoltà. Fiat a sua volta avrà finalmente un ottimo partner per entrare nel mercato americano che le potrà mettere a disposizione una rete distributiva formidabile, mentre è più difficile ipotizzare che gli americani siano in grado di dare un contributo sostanziale al miglioramento dell’alto di gamma Fiat.

L’operazione offre una complementarietà geografica perfetta, nessuna sovrapposizione nell’offerta e consente al nuovo gruppo di avere dimensioni doppie che l’avvicinerebbero alla soglia minima di cinque milioni di auto all’anno indicata da Marchionne come requisito per poter competere efficacemente (raggiungerebbero un numero di circa 3,5/4 milioni all’anno).

Insomma pare proprio un’operazione eccellente con reciproca soddisfazione delle parti, ma non bisogna dimenticare che stiamo attraversando un periodo di difficoltà e incertezze che non ha precedenti. L’alleanza è prettamente industriale e nella migliore delle ipotesi non potrà avere effetti prima che siano passati almeno 12-18 mesi.

Risulta evidente che per portare a compimento tutte le potenzialità dell’accordo occorre un sforzo organizzativo e gestionale colossale che richiederà mesi solo per poter essere pianificato. Nel frattempo le due società procederanno separate, ciascuna alle prese con le proprie difficoltà. Chrysler senza aiuti statali andrebbe dritta verso il fallimento, ma può contare sul nuovo presidente Obama che ha dichiarato più volte di voler salvare le società automobilistiche americane; Fiat dovrà con molta probabilità ricorrere a un aumento di capitale se la situazione vista a dicembre e gennaio dovesse continuare per qualche mese (ancora un trimestre di difficoltà lo renderebbe probabile due trimestri inevitabile).

Se da un lato è innegabile che Fiat abbia comprato un’opzione sul risanamento di Chrysler a costo zero e che l’operazione sia ottima nel lungo periodo, è altrettanto vero che l’attuale contesto economico rende impossibile prevedere in che condizioni finanziarie saranno le due società tra qualche mese oltre al fatto che sia in Fiat auto che in Chrysler occorre ancora un ingente lavoro di ristrutturazione.

Lo stesso accordo dipende quindi dalla salute di cui godranno i partner nel prossimo futuro. Assumendo comunque che la situazione non precipiti e che l’unione possa procedere normalmente, per arrivare alla dimensione ottimale auspicata da Marchionne occorre ancora un operatore di dimensioni pari agli attuali partner.

Il maggiore indiziato PSA è stato al momento evitato da Fiat per ragioni più politiche che industriali. I francesi non si sognano nemmeno di rinunciare a un solo dipendente, tanto più che godono dell’appoggio economico del governo e ovviamente gli italiani non sono disposti a chiudere l’alleanza nella situazione di maggior debolezza in cui si trovano. Ciò impedisce di realizzare a breve un matrimonio che molto più facilmente sarebbe in grado di produrre sinergie industriali e in misura maggiore di quelle ottenibili con gli americani.

È però assolutamente lecito pensare che tra gli obiettivi primari dell’accordo con Chrysler ci sia quello di potersi presentare in posizione migliore (se non di forza) all’alleanza finale con PSA una volta che il progetto industriale sia ben avviato.

In conclusione se escludiamo una depressione severa e prolungata e se entrambi i soggetti coinvolti riescono a passare i prossimi mesi in modo decente, Fiat potrebbe finalmente aver compiuto un salto di qualità decisivo.