Oggi, per il secondo giorno di seguito, il titolo Fiat ha fatto registrare cali record dopo ripetute sospensioni al ribasso.
La presentazione dei dati trimestrali, preceduti prima da rumours su impellenti esigenze di nuovi crediti dalle banche e poi da un probabile aumento di capitale, hanno evidenziato nel quarto trimestre un andamento industriale molto peggiore di quanto chiunque si aspettasse.
L’accordo con Chrysler sarebbe stata una notizia sensazionale in quasi ogni altra condizione di mercato rispetto alla profonda recessione che il settore sta attualmente attraversando; anche i molti che ne avevano apprezzato la bontà industriale si erano però ben guardati da illudersi che l’alleanza avrebbe potuto cambiare qualcosa nel breve periodo.
Tale convinzione è stata confermata al di là di ogni dubbio dai dati del quarto trimestre di Fiat. Il debito industriale è raddoppiato passando da 3,2 a 5,9 miliardi in un trimestre in cui stagionalmente si assiste a un miglioramento, segnalando inequivocabilmente un arresto delle vendite di auto, la grande malata di casa Fiat, e un aumento delle rimanenze in tutti i settori in cui il gruppo opera (auto, camion e macchine agricole).
L’esplosione del circolante e l’aumento delle scorte (migliaia di mezzi invenduti) sono quanto di peggio possa accadere a un’impresa industriale soprattutto se esiste la possibilità concreta che non possano essere riassorbite in tempi brevi da una ripresa significativa delle vendite che riporterebbe la situazione a livelli normali.
Le previsioni rassicuranti sul 2009 comunicate al mercato da Marchionne non sono state evidentemente ritenute credibili. A torto o a ragione il mercato non si è fatto calmare da previsioni di pareggio per l’auto e di utile per il gruppo nel 2009, né dalla prospettata riduzione del debito. Ogni previsione viene ritenuta poco attendibile soprattutto se già ora emerge chiaramente quanto nei mesi scorsi a tutti i livelli si sia sottovalutato la forza e la rapidità del deterioramento del contesto economico.
L’auto quasi più di ogni altro bene è soggetto all’andamento economico e alla fiducia dei consumatori e al riguardo ogni indicatore fa ritenere che non si sia ancora toccato il fondo, tanto più che, se mai ce ne fosse stato bisogno, il business auto ha dimostrato ancora una volta di essere vulnerabilissimo a un rallentamento delle vendite.
Tutte le considerazioni precedenti si aggiungono all’altro dato inatteso che è l’azzeramento delle linee di credito delle banche disponibili per Fiat. Qui si aprono una serie infinita di scenari “politici”, di dietrologie e di previsioni cupe che contrariamente al solito sembrano avere grande ragionevolezza.
Non è ipotizzabile che di fronte a un deterioramento evidente anche alla casalinga in coda al mercato, nessuno in Fiat si sia premurato per tempo di andare a chiedere agli istituti di credito la disponibilità di nuove linee. Esclusa un’incapacità colossale rimangono due possibilità: o le banche hanno chiuso i rubinetti all’interno della strategia di riduzione degli attivi (o magari su input specifici), o si è voluta presentare una situazione drammatica per forzare la mano ad aiuti di settore.
Una cosa è certa se quanto visto nell’ultimo trimestre dovesse continuare con il passare di pochi mesi emergerebbero esigenze di finanziamento bancario improrogabili o di un robusto aumento di capitale. Le banche hanno bilanci debolissimi con sofferenze che sono destinate a esplodere, per prestare soldi a Fiat occorrerebbe mettersi nell’ordine di idee di un finanziamento di sistema in accordo col Governo, per l’aumento di capitale bisognerebbe chiedersi chi sia disposto a dare soldi in una situazione di visibilità prossima allo zero.
Il deus ex machina può essere solo lo Stato, che è attualmente nelle mani di una compagine storicamente avversa agli Agnelli. Siccome è difficile pensare che Berlusconi si voglia trovare alle prese con decine di migliaia di licenziamenti e con la più importante impresa italiana paralizzata, è certo che verrà il momento del “salvataggio”.
Il punto è come e a che condizioni e soprattutto non è chiaro quanto alla fine sarà forte la volontà di penalizzare gli attuali azionisti. Se ci sono conti ancora aperti questa sarebbe l’occasione d’oro per chiuderli. I tre fattori in gioco, governo Berlusconi, famiglia Agnelli e la più grande industria del Paese (con le relative migliaia di famiglie a rimorchio) alla fine arriveranno a un equilibrio. L’unico uno fisso va all’“impresa Fiat” sul resto si accettano tutte le scommesse.