Solo oggi in tarda serata sapremo quali azioni il Governo metterà in atto per contrastare il drammatico deterioramento del settore auto, mostrato in modo evidente dall’ultima trimestrale Fiat.
Il tavolo convocato dal Governo a Roma è stato preceduto dalle inquietanti dichiarazioni di Marchionne che ha preannunciato 60.000 licenziamenti nel comparto auto, in caso di mancato aiuto statale, e ha stimato un calo del 60% delle vendite auto. Le dichiarazioni sono un chiaro segnale lanciato al Governo perchè rompa gli indugi e si decida a intervenire con sussidi e incentivi sostanziali.
La situazione è certamente drammatica, ma il 60% di calo delle vendite è con tutta probabilità eccessivamente pessimistico, soprattutto se si considera che le immatricolazioni di auto si concentrano negli ultimissimi giorni del mese. L’industria auto sta quindi tentando di forzare la mano con tutte le leve che ha a disposizione a cominciare dal grande numero di occupati del settore.
Assai meno esplicite sono le richieste del sistema finanziario, ma è certo che una parte non trascurabile del sistema bancario italiano potrebbe avere nei propri bilanci esposizioni “problematiche” ed è altrettanto sicuro che le sofferenze su crediti sono destinate a un drammatico aumento in uno scenario di Pil in calo del 2%. Le richieste sono meno chiare solo perché nessuna banca ha intenzione di alimentare dubbi sulla propria solidità patrimoniale.
Le risposte toccano ora al Governo e in particolare al plenipotenziario ministro Tremonti, che finora si è mostrato refrattario a qualsiasi provvedimento che possa aumentare il deficit pubblico. È poco credibile che una volontà punitiva nei confronti di Fiat e dei suoi azionisti o dei banchieri italiani, che probabilmente esiste, prevalga, in tale contesto economico, sulla necessità di evitare il tracollo di uno dei pezzi più importanti del sistema industriale italiano o sulla esigenza di mantenere un sistema finanziario solido al servizio dell’economia.
Escluso questo scenario, ciò a cui stiamo assistendo è la diretta conseguenza del “Tremonti pensiero” così come recentemente è stato esplicitato nelle interviste al Financial Times e a Il Corriere della Sera. Nell’intervista al FT Tremonti ha dichiarato di temere che i pacchetti di stimolo fiscale e una politica monetaria di tassi nulli non siano sufficienti a uscire dalla crisi, mentre al Corriere ha espresso l’opinione che un deficit di fiducia non si risolva con l’aumento del deficit pubblico.
Guidare uno Stato che ha il terzo debito pubblico del mondo impone una cautela fuori dal comune nelle politiche economiche anche considerata la concorrenza sempre più spietata dei “BOT” degli altri Stati europei. Anche con un ministro dalle opinioni opposte non potremmo comunque mettere in campo le stesse risorse dei nostri concorrenti diretti.
Grazie a questa strategia di fondo l’Italia nel 2009 dovrebbe registrare un deficit pubblico del 3,8%, che è un mezzo miracolo in uno scenario di severa contrazione del Pil e che ci porrà tra i più virtuosi d’Europa (Francia e Spagna si dovrebbero attestare rispettivamente sul 6,2% e 5,8%). Le poche munizioni disponibili che devono essere divise tra salvataggio del sistema finanziario, aiuto alle imprese e ai consumatori saranno presumibilmente risparmiate fino a che non se ne potrà fare assolutamente a meno e solo per evitare il fallimento.
Se stasera dovessero uscire notizie di aiuti massicci significherebbe probabilmente che la situazione è già senza via d’uscita così come dovremmo preoccuparci di inattesi sostegni al sistema bancario. La crisi è di tale portata che ogni aiuto attuabile dall’Italia sarebbe nient’altro che un palliativo che oltre tutto una volta usato potrebbe non essere replicabile in un momento di bisogno ancora più pressante. Per questo si aspetterà il più a lungo possibile.
Intraprendere la via del debito pubblico e dell’intervento statale è una strada di cui nessuno conosce l’esito finale e che potrebbe rivelarsi un rimedio peggiore del male. Senza ragione è passata nell’opinione pubblica l’idea che l’unica soluzione sia un massiccio e immediato intervento dello Stato con aiuti a pioggia a tutti e senza criteri.
Sarà un caso ma il dibattito sul sostegno all’auto è in molti casi acritico e ha solo sfiorato una riflessione su che tipo di aiuti e con che tempi. Una riflessione non secondaria considerato che le poche risorse dovranno essere usate oculatamente. Dato che l’Italia ha oggettivamente molti meno problemi di altri (il deficit inglese sarà tutto figlio della statalizzazione delle banche), mantenere il bilancio statale in ordine limitandosi a intervenire dove strettamente necessario potrebbe bastare per ridurre il divario con gli altri Paesi europei in termini di solidità del bilancio statale e in definitiva per metterci in una situazione competitiva migliore quando verrà la ripresa.
Chi crede che un intervento statale senza precedenti sia la panacea di tutti mali dovrebbe almeno chiedersi se l’Italia sia in grado di sostenere nel tempo questo sforzo e soprattutto dovrebbe meditare sul fatto che non sempre le preferenze della burocrazia statale coincidono con le esigenze dei privati o con il bene del Paese.