L’andamento delle vendite natalizie sarà uno degli ultimi lasciti di un pessimo 2008 e certamente contribuirà ad alimentare congetture e previsioni sull’andamento economico dei prossimi mesi.

I dati ufficiali e definitivi saranno resi noti solo tra qualche giorno e dipingeranno un quadro di cui si possono già individuare alcuni tratti importanti.

L’argomento non è di scarsa rilevanza sia per il risaputo peso che per moltissimi settori rivestono le vendite natalizie, sia perché sul dato si sono sprecate riflessioni e ipotesi nel tentativo di ottenere maggiori lumi sul destino prossimo dell’economia.

Al momento è possibile basarsi sulle dichiarazioni preliminari di confcommercio e utilmente raffrontarle con quelle del British Retail Consortium, già salite all’attenzione della stampa anglosassone e in particolare del Financial Times. L’associazione inglese ha rilasciato un comunicato il 25 dicembre (i dati ufficiali saranno disponibili il 12 gennaio), mentre l’associazione italiana ha diffuso alcune considerazioni il 2 gennaio. I toni sono assolutamente differenti e ci consegnano delle valutazioni che al momento era possibile ricavare solo dai commenti dei turisti della city, basiti di fronte alla differenza con il pesante clima che si respirava da settimane a Londra.

Ovviamente non è il caso di fare proclami di fronte a un periodo comunque fiacco anche da questa parte della Manica e certamente le ragioni di questa differenza sono molteplici, ma è sempre più chiaro che lo scoppio della bolla finanziaria sta avendo le conseguenze peggiori proprio dove si è più investito nel settore.

L’associazione inglese definisce i risultati “not pretty” aggiungendo che per i commercianti si è trattato di un Natale povero, esplicitando poi la vera differenza rispetto a quanto visto nelle nostre città: le vendite deboli sono state precedute da sconti e promozioni che non hanno precedenti e che hanno messo duramente sotto pressione i margini dei commercianti. Nonostante saldi mai visti siano stati messi in atto molte settimane prima del Natale nel tentativo di salvare la stagione, le vendite sono risultate oltremodo fiacche. Confcommercio non vede invece alcun crollo anche se registra una sostanziale e profonda debolezza.

Tra i diversi settori si segnala la tenuta dell’abbigliamento, della grande distribuzione (aumento per gli alimentari) e dei negozi tradizionali (anche libri e gioielleria sembrano al momento fuori dall’occhio del ciclone). Le ragioni di tale diversità non sono però chiaramente individuabili. Si potrebbe avanzare l’ipotesi che si tratti solo di un ritardo temporale e che prima o dopo il clima di sfiducia e la diminuzione della propensione al consumo sperimentata dai consumatori inglesi si allargheranno al resto d’Europa fino a coinvolgere i Paesi più periferici (rispetto al centro della finanza continentale).

Altrettanto plausibili sono al momento motivazioni legate al minore indebitamento delle famiglie italiane (uno dei minori d’Europa) o a un’economia molto meno legata alle sorti dei mercati finanziari e ancora largamente dipendente dall’impresa industriale.

È difficile comunque escludere a priori uno di questi fattori, ma probabilmente non è azzardato affermare che sistemi meno finanziarizzati e con un sistema industriale più diffuso siano in grado di resistere meglio agli scossoni della crisi. In Germania le vendite potrebbero essere state addirittura superiori a quelle del 2007 e al momento non si è verificato alcun calo preoccupante. Registrato il dato migliore delle attese, rimangono sul tavolo tutti i problemi che dovranno essere affrontati a partire dall’esangue sistema finanziario e dal suo rapporto con imprese e cittadini, fino al sistema produttivo che sarà costretto ad affrontare dolorose trasformazioni. A questo riguardo le mezze buone notizie che arrivano dai consumatori non sono sufficienti per proclamare lo scampato pericolo, ma sono utili indicazioni per capire come e dove investire per uscire il prima possibile dalla recessione.