Se nelle prossime settimane sentirete e leggerete tutto e il contrario di tutto su Telecom Italia non stupitevi, anzi, aspettate fiduciosi ogni tipo di speculazione e ipotesi, fino a che il 28 ottobre si arriverà (forse) a una conclusione più o meno definitiva. L’ultimo rumor in ordine di tempo è la conseguenza di un possibile e assolutamente ipotetico accordo tra l’ex monopolista e Poste Italiane che ha già suscitato le fantasie più incredibili e disparate.
Dopo la privatizzazione col nocciolino duro dei soci italiani (poco più del 6% del capitale sotto la guida degli Agnelli), l’era di Colaninno e dei “capitani coraggiosi”, la gestione Tronchetti Provera ora il controllo di uno degli oggetti più desiderati della finanza italiana è nelle mani di Telco, 24.5% del gruppo, che riunisce lo scomodissimo socio industriale Telefonica e un gruppo di investitori finanziari chiamati a presidiare l’italianità del gruppo (Mediobanca, Generali, Intesa Sanpaolo e la Sintonia dei Benetton); a Telco si affianca l’outsider Findim della famiglia Fossati con il 5%.
Generali | 6.9% |
Intesa Sanpaolo | 2.6% |
Mediobanca | 2.6% |
Sintonia | 2.1% |
Telefonica | 10.4% |
Totale Telco | 24.6% |
Findim | 5.0% |
I tempi sono ora maturi per un revival di speculazioni e rumours dato che il 28 ottobre i soci di Telco che non vogliono rinnovare il patto devono comunicare la propria disdetta. Telefonica è attesa al varco e tutti si interrogano sulle sue intenzioni. A poche settimane dalla fatidica data si intensificano dichiarazioni e ipotesi che per la verità durano da molti mesi. Senza risalire troppo indietro negli anni occorre fare un minimo di cronaca degli ultimi cambiamenti avvenuti in Telecom per capire che cosa sta accadendo ora.
Prima di Telco il controllo di Telecom Italia era (non troppo saldamente) nelle mani della holding Olimpia schiacciata dai debiti e controllata dalla Pirelli di Tronchetti Provera, che nell’autunno del 2006, complice un piano piuttosto dettagliato del consigliere economico di Prodi Rovati, si dimette dalla presidenza di Telecom Italia e viene sostituito da Guido Rossi.
Con le dimissioni di Tronchetti Provera si pone quindi il problema di trovare un nuovo soggetto di controllo; il problema viene risolto solo nella primavera del 2007 e la cordata capitanata da Telefonica e dal meglio della finanza italiana riesce a battere la concorrenza degli americani di AT&T e di America Movil, del magnate messicano Carlos Slim, che ha una presenza rilevante in Sudamerica.
Questa conclusione è stata così felice che da subito è apparsa provvisoria e un punto di partenza per ulteriori evoluzioni. Cosa ci fa Telefonica, il più agguerrito concorrente di Telecom Italia in Brasile, nella holding di controllo di Telecom? Ma soprattutto perché Telefonica ha speso 2,90 euro per azione, il 30-40% in più delle quotazioni di allora, senza assicurarsi di poter incidere efficacemente sulle strategie della partecipata? Infine, quale sinergia giustifica la presenza stabile di banche e assicurazioni nella holding di controllo di un gruppo telefonico?
L’unico senso industriale che poteva avere la mossa di Telefonica era quello di costruirsi una base per comprare Telecom o le sue controllate sudamericane; peccato che la presenza dei soci finanziari italiani serva proprio per arginare il potere e le mire degli spagnoli. Una situazione di stallo che l’andamento del titolo non ha aiutato di certo a risolvere. Con l’azione a 1,2 euro è difficile trovare compratori disposti ad avvicinarsi ai prezzi da capogiro pagati da Telefonica e dai soci finanziari, mentre la mancanza di una chiara visione strategica e risultati non propriamente brillanti non autorizzano a pensare che da questo punto di vista le cose possano cambiare nel breve-medio termine. Ecco spiegata l’origine della crescente tensione su Telecom con i media e i mercati che un giorno speculano sull’ingresso dei libici e un altro su quello dei cinesi.
A breve Telecom si spoglierà della controllata tedesca e diverrà sempre più chiaro come sia ormai costretta a confrontarsi con operatori di dimensioni ben maggiori e con presenza geografica diversificata. In tutto questo il mercato italiano rimane uno dei più difficili e le uniche note positive possono arrivare dal Brasile. Troppo poco per chi ha pagato più di 2 euro per azione e troppo poco fascino per suscitare l’interesse degli investitori.
I fantomatici investimenti miliardari nella rete sono al momento utili solo per riempire pagine di commenti, ma del tutto inattuabili finché non sarà chiaro come potrebbero essere ripagati, soprattutto se si considera che il settore è soggetto a ogni tipo di Authority, ognuna con le proprie idee e con i propri legittimi cambi di visione.
Al momento si possono considerare tre punti fermi. Il primo è che Telefonica potrebbe anche “essere contenta” di aver perso più di metà del proprio investimento e di essere però riuscita a bloccare uno dei suoi più pericolosi concorrenti in Sudamerica e di aver impedito all’America movil di Slim di prendere il controllo degli asset sudamericani di Telecom. Il secondo è che speculazioni, incertezza e instabilità di solito fanno bene al titolo e male alla società. Il terzo è che, a meno di ipotesi clamorose, Telecom non è destinata a risolvere i propri problemi neanche questa volta.