Se dovessimo valutare l’esito finale del processo sul Lodo Mondadori sulla base della reazione del mercato dovremmo concludere di essere di fronte a una notizia di poca importanza. Il giorno in cui tutta Italia si interrogava sulle implicazioni politiche della sentenza, il titolo Cir aumentava la propria capitalizzazione di circa 65 milioni di euro. Ben poca cosa rispetto al maxi risarcimento da 750 milioni di euro che secondo il tribunale di Milano Fininvest dovrà pagare proprio alla Cir di de Benedetti.

Una “stranezza” che merita almeno qualche riflessione. La prima e più facile spiegazione, che il mercato in qualche modo si attendesse già il risultato, non ha sostanzialmente alcun appiglio e può essere accantonata senza troppi ripensamenti. La seconda è che con Berlusconi al Governo l’esito della sentenza, in un modo o nell’altro, non si materializzerà e quindi si tratta solo di un falso allarme. La terza è che la cifra chiesta come risarcimento sia suscettibile di una consistente riduzione al ribasso. Optando per il buon senso si può trovare una spiegazione ragionevole in un mix delle ultime due ipotesi con una netta prevalenza della terza.

Sempre facendo appello al buon senso è difficile infatti assumere che ci sia una particolare categoria di persone in grado di determinare con assoluta certezza e senza margini di errore il valore assoluto di un’impresa o di un fatto economico. Come ha dimostrato benissimo la Borsa negli ultimi 18 mesi esprimere in un numero il valore di una società non è mai né banale né assolutamente oggettivo. Il mercato è perfettamente a conoscenza di questa lezione e scommette che ci siano tutti gli elementi per arrivare a un risarcimento meno sfavorevole a Fininvest sulla base di altre “assunzioni” e di altri calcoli.

Se non fosse così non si comprenderebbe una reazione così timida di fronte a una cifra che di questi tempi rappresenterebbe una rivoluzione nel piccolo (e povero di capitali) mondo della finanza italiana. Immaginate infatti un gruppo come Cir che controlla uno dei principali gruppi editoriali italiani (il gruppo Repubblica-Espresso), aziende industriali (Sogefi), utility (Sorgenia), società attive nel credito al consumo (Ktesios) e nella sanità (HSS) con in più una dote da 750 milioni di euro liberamente spendibili in un mercato che oggi presenta più di un’opportunità. Ci sarebbe di che speculare per i prossimi mesi e il mercato non si sarebbe di certo lasciato sfuggire l’occasione.

Quello su cui mercati e media invece concordano è l’attesa per il pronunciamento della corte costituzionale sul Lodo Alfano. La crisi ci ha consegnato una situazione in cui, a tutte le latitudini e con i governi di qualsiasi estrazione, il peso dello Stato nell’economia è diventato notevolmente più determinante di quanto fosse qualche mese fa. Per questo sono ancora meno indifferenti il nome e il cognome di chi abita a Palazzo Chigi.

 

Se dovessimo poi elencare le possibili partite economiche che si potrebbero giocare e chiudere nei prossimi mesi in Italia scopriremmo che siamo in un momento piuttosto delicato. Un elenco sommario comprende: Telecom Italia (il 28 ottobre si vedranno le intenzioni di Telefonica), i Tremonti bond e i rapporti con le principali banche italiane, il rinnovo del cda di Generali (aprile 2010), il nucleare in Italia, le pressioni interessate su Eni, gli incentivi alla rottamazione e un possibile spin off di Fiat auto.

 

Qualsiasi cambiamento rispetto allo status quo e a quello che ora viene considerato la base di partenza per ogni riflessione non mancherebbe di mettere in fibrillazione i mercati e avrebbe conseguenze di tutt’altro tipo rispetto a una sentenza che potrebbe anche non essere mai eseguita.

 

Così come la reazione dei mercati alla sentenza sul Lodo Mondadori indurrebbe a pensare a una novità non troppo importante, allo stesso modo quello che succederà sul mercato in generale e su certi titoli in particolare dopo la decisione che la Corte prenderà sul Lodo Alfano potrebbe essere un indicatore decisamente interessante di quanto è destinato a cambiare.