A poche settimane dalla fine di un anno che ha regalato ai mercati finanziari molte più soddisfazioni di quanto chiunque osasse sperare solo dodici mesi fa, le notti di investitori e banker possono essere turbate “solo” dalla stretta normativa e soprattutto fiscale che si sta affacciando all’orizzonte in modo sempre più minaccioso.
La vicenda è nota già da qualche mese e nelle ultime settimane, causa l’avvicinarsi del 31 dicembre, le riflessioni sull’aumento della tassazione dei bonus per banker e operatori finanziari vari stanno occupando le pagine dei principali quotidiani.
Qualche giorno fa l’autorevole Financial Times riportava le preoccupazioni e lo sconcerto della city di fronte alla stretta fiscale che porterà le tasse sui bonus al 50%; una percentuale finora completamente sconosciuta, che secondo il quotidiano inglese avrebbe già indotto l’universo finanziario a fare lobby per rendere più leggere le pretese dello Stato; lobby che, al momento, non sembra destinata ad avere successo dato che Alistair Darling (Cancelliere dello Scacchiere), che nel caso specifico gode di un certo consenso popolare, non ha intenzione di venire minimamente incontro alle pretese di minore tassazione.
Le ragioni che hanno portato a questa decisione non sono per addetti ai lavori: dato che lo Stato è intervenuto massicciamente per garantire la salvezza di un sistema finanziario che ha qualche responsabilità sulla crisi in atto e data l’incredibile performance dei mercati sarebbe quantomeno discutibile se con l’“economia reale” ancora a pezzi i banker si ritrovassero con bonus alle stelle.
Per i contribuenti tutta la vicenda suonerebbe come una beffa con lo Stato nelle vesti di un Robin Hood all’incontrario che ruba ai poveri per dare ai ricchi. Insomma politiche permissive sarebbero difficilmente difendibili in un contesto di debolezza economica estrema.
Per non fermarsi però alle discussioni da bar e a conclusioni che sembrano così evidenti e immediate bisogna aggiungere qualche considerazione. Retribuzioni così distanti dalla media e così variabili sono in parte certamente frutto di una ingiustificata redistribuzione delle risorse, ma anche di un modello estremamente flessibile e meritocratico che ti può mettere alla porta nel giro di un’ora.
La realtà inglese in questo senso è molto distante da quella italiana e le tutele non sono certo paragonabili. Un sistema che per anni ha fatto affari d’oro si poteva permettere di scegliere il meglio, i più preparati e i più ambiziosi e per farlo usava a piene mani la leva economica. Se l’obiettivo primo è battere la concorrenza sul tempo e riportare risultati scintillanti trimestre dopo trimestre servono disincentivi (licenziamenti senza troppe chiacchiere) e incentivi che non facciano mai dimenticare qual è l’obiettivo primario e facciano stare tutti sulla corda. Potremmo poi trovare molte somiglianze con altri settori dove si trovano pochi “specialisti” molto qualificati, ma rischieremmo di perdere di vista la parte più importante della partita che si sta giocando.
L’importanza di Londra come piazza finanziaria nell’ultimo decennio è cresciuta vertiginosamente e la capitale inglese è diventata l’indiscussa regina in Europa. Gli hedge fund più importanti, le case di broker più influenti e le investment bank più ricche hanno sedi operative nella city e hanno contribuito in modo determinante alla ricchezza del Regno Unito.
Questo mondo si può contestare per mille motivi, alcuni dei quali sicuramente validi, ma qualche pregio potrebbe anche essere rivalutato ora che la presenza degli Stati nell’economia sta diventando sempre più determinante. Almeno in teoria tutto doveva essere improntato al merito e alla trasparenza e a ben vedere i casi di mancata trasparenza, a cominciare dai bilanci non proprio cristallini, hanno danneggiato enormemente innanzitutto e proprio gli operatori finanziari con fallimenti e licenziamenti a catena.
Ovviamente nessuno difende il profitto finanziario di breve termine a ogni costo con le conseguenze che ha avuto e che sarebbe impossibile negare, però lo Stato salvatore a volte sembra quasi un alleato della parte peggiore del vecchio sistema. A quale logica risponde la scelta di salvare il settore auto e di lasciare al proprio destino un altro? Perché nel settore pubblico nessuno verrà licenziato e pagherà le conseguenze della crisi mentre tra le pmi i disoccupati continuano ad aumentare? Queste sono scelte non scontate che comportano conseguenze precise (ad altro articolo si potrebbe poi rimandare una riflessione sulle motivazioni che spingono il sistema francese o tedesco a certe campagne di moralizzazione della finanza).
Tutto fa credere che nel prossimo futuro il potere decisionale degli Stati nell’economia sarà ancora più alto e non lascia totalmente tranquilli il fatto che non si sappia secondo quali criteri questo potere verrà esercitato. Il giro di vite che ridimensionerà la finanza accontenterà sicuramente le richieste della piazza, ma gli effetti positivi non sembrano altrettanto sicuri.
Infatti la stretta avviene senza che ci sia stata una riflessione su quello che c’è da eliminare del tutto, su quello che invece è da correggere (magari anche in profondità) e su quello che si può tenere. Così come non sembra esserci stata nessuna selettività nel premiare i virtuosi, o i meno viziosi, e nel punire gli scorretti. Il taglio dei bonus che in questo contesto è difficilmente contestabile è solamente la parte più visibile di una mezza rivoluzione che coinvolgerà la finanza londinese e non.
Non sarebbe un successo per nessuno se l’unico risultato fosse il trasferimento di massa verso lidi più permissivi, alcuni dei quali stanno già facendo ponti d’oro ai nuovi venuti. La Svizzera e Ginevra in particolare sembra la più attiva e la più attrezzata e qualcuno ci ha già fatto un pensiero.
Tutto procederebbe per i soliti senza alcun cambiamento, solo con meno attenzione e al riparo da agenzie delle entrate troppo pretenziose. Non sarebbero chiari i benefici per l’economia in generale, mentre sarebbero forti gli elementi di preoccupazione sulle intenzioni di chi occuperà il vuoto di potere rimasto.