Dopo le note vicende della fusione con Chrysler e della concessione degli incentivi statali che hanno garantito a Fiat chilometri di articoli di giornale nel 2009, non sembra sia ancora arrivato il momento per un calo d’attenzione sulla casa di Torino. Non è ancora iniziato il 2010 e già c’è abbastanza materiale per il prossimo semestre.



Per il 2010 segnatevi in calendario la presentazione del nuovo piano strategico 2010-2014 che sarà svelato in primavera (dopo essere stato inizialmente programmato per il primo trimestre). Nel frattempo a salvarci dalla noia continuerà il dibattito sulla presenza di Fiat in Italia e in particolare sul destino dello stabilimento di Termini Imerese. Il tema non è di poco conto dato che Fiat dà lavoro a più di 80 mila italiani senza considerare l’indotto.



Il 22 dicembre Fiat si incontrava con i rappresentanti del governo e dei sindacati a Palazzo Chigi per comunicare i propri piani sugli stabilimenti italiani del gruppo e sugli investimenti che verranno effettuati in Italia. Fiat nell’occasione ha confermato la volontà di cessare la produzione di auto a Termini Imerese, mentre ha dichiarato l’obiettivo di aumentare la produzione complessiva di veicoli in Italia (dagli 800mila attuali a 1milione e cento mila nel 2012).

La premessa è il destino dell’auto in Europa e l’eccesso di capacità produttiva del settore contro cui tuonava Marchionne all’inizio del 2009. Una situazione già di per sé difficile a cui si aggiunge il calo a cui si andrà incontro nel 2010, visto che Fiat stessa prevede una discesa della domanda anche per l’anno prossimo.



In tutto questo bastano pochi numeri per dare un quadro impietoso dell’efficienza produttiva in Italia rispetto alla produzione fatta in Brasile e in Polonia. Nei cinque impianti di Fiat (Mirafiori, Cassino, Pomigliano, Melfi e Termini Imerese) si producono circa 650mila unità con 22.000 dipendenti; in Polonia e in Brasile si raggiunge lo stesso livello con meno della metà delle persone.

Competere sui mercati globali e in Italia con le case estere in un mercato che è tutto tranne che destinato all’espansione con una bassa efficienza è un compito impossibile nel medio-lungo termine. Ecco così che Fiat sceglie di chiudere il più difficile dei cinque impianti italiani, Termini Imerese, che in una zona priva di fornitori di componenti è un vero incubo dal punto di vista logistico (produrre una macchina a Termini costa 1.000 euro in più); “in cambio” Fiat porterà la Panda dalla Polonia a Pomigliano aumentando il tasso di utilizzo dell’impianto.

Le richieste del ministro Scajola di aumentare la parte italiana di Fiat verranno così accontentate, ma la casa di Torino potrà guadagnare un obiettivo che tenta di raggiungere almeno dall’inizio degli anni duemila (la fine della produzione di auto a Termini). Soddisfare le richieste del Governo non sarà quindi un problema e le polemiche tra le due parti sembrano più un gioco delle parti che un vero scontro, con il risultato finale già noto e condiviso.

Tra le pagine della presentazione a sindacati e Governo c’è però un’altra indicazione piuttosto interessante. Alla voce nuove vetture su base Chrysler da produrre in Italia a partire dal 2011 si contano 5 nuovi modelli, uno a marchio Fiat e quattro a marchio Lancia; nessun programma viene menzionato per Alfa Romeo nonostante le opportunità e le sinergie che si potrebbero sfruttare dopo la fusione con la casa americana.

Nessuna indicazione nemmeno sul nuovo sito di produzione dei modelli di Alfa Romeo dato che a Pomigliano arriverà la Panda dalla Polonia. Attualmente per Alfa si prevedono come nuovi modelli solo la Giulietta e la MiTo e non su base Chrysler.

 

Questi “piccoli dettagli” suonano sinistri dopo le dichiarazioni rilasciate da Marchionne secondo cui ogni marchio “deve dimostrare di poter sopravvivere”. Quindi riassumendo: Alfa non va bene e sta al momento fallendo nel tentativo di sfidare BMW (non sta dimostrando di poter sopravvivere); Fiat al momento non ha in programma alcun nuovo modello di peso fatto in casa; nessun nuovo modello è previsto su base Chrysler (al contrario ne sono già stati previsti 5 per Fiat e Lancia); non si sa dove verrà prodotta in futuro dopo l’arrivo della Panda a Pomigliano.

 

La cosa che invece si sa è che da inizio dicembre, complice un articolo del Financial Times, si specula su una possibile cessione di Alfa a Volkswagen. L’ipotesi dopo la presentazione di Fiat sembra molto di più che una speculazione di fine anno fatta per sporcare qualche pagina di giornale. Fiat non ha o non vuole spendere i soldi per rilanciare Alfa; d’altronde come darle torto quando ogni tentativo fatto dalla casa di Torino negli ultimi dieci anni per spostarsi su un segmento più “premium” è risultato infruttuoso?

 

Concentrata sull’enorme compito della fusione con Chrysler, Fiat non può essere contemporaneamente impegnata nell’ardua impresa di rilanciare un marchio che giace nel limbo da anni e che richiede ingenti investimenti. Gli Alfisti alla notizia di un’Alfa in mano tedesca hanno avuto un mancamento, ma Volkswagen potrebbe finalmente tentare di sfidare BMW con qualcosa di (molto) meglio di Seat, investendo molti soldi in nuovi prodotti, rete di vendita e marketing.

 

Meglio forse un’Alfa tedesca in gran spolvero, che una Fiat mascherata sconvenientemente col marchio del biscione.