La novità più interessante nella marea di pessime notizie finanziarie e macroeconomiche è arrivata lunedì dall’industria auto italiana che, incredibile ma vero, ha fatto segnare il primo segno positivo da mesi.
Le immatricolazioni in Italia a febbraio sono scese del 24% rispetto all’anno scorso, ma la raccolta ordini indica un incremento del 4% rispetto a febbraio 2008, un’altra epoca in cui l’industria auto inanellava risultati soddisfacenti sia nel numero di auto vendute che negli utili trimestrali.
La novità arriva qualche giorno dopo le notizie di riduzione della cassa integrazione in alcuni stabilimenti italiani di Fiat, in previsione di un aumento degli ordinativi. Nel frattempo non c’è stato un singolo indicatore che non abbia dimostrato ulteriori peggioramenti del contesto economico, mentre emergono le difficoltà drammatiche di innumerevoli settori industriali che testimoniano quanto il contagio dell’“economia reale” sia profondo e diffuso.
Tutto ciò non è frutto di un miracolo inspiegabile né la conseguenza di un settore particolarmente efficiente o immune dalla crisi è “solo” l’effetto degli incentivi sostanziosi che il Governo ha stanziato per risollevare le sorti di uno dei settori industriali più colpiti dalla crisi e del fatto che i clienti più titubanti abbiano alla fine rotto gli indugi di fronte agli sconti generosamente offerti dalla finanza statale.
Il fenomeno è comune a molti Paesi europei e per la verità ha cominciato a manifestarsi anche in alcune economie emergenti, come testimoniato dagli ultimi dati sulle registrazioni in Brasile che rispetto all’anno scorso non hanno evidenziato alcun calo. Un aiuto davvero provvidenziale e che non si può fare a meno di mettere in relazione con quanto recentemente dichiarato al Il Sole 24 Ore da Andrea Agnelli.
Interrogato sulla diversa concezione che di Fiat avevano Umberto e Gianni Agnelli, il consigliere d’amministrazione di Fiat rivelava che Marchionne all’inizio della sua avventura italiana mostrava un grafico inquietante sull’industria auto mondiale: dal 1970 l’industria automobilistica non ha fatto altro che distruggere valore indipendentemente dai cicli economici. Non è la dichiarazione spontanea di un noto ambientalista che vorrebbe un mondo senza auto e inquinamento, ma la visione dell’amministratore delegato di uno dei maggiori gruppi europei.
Solo qualche mese fa lo stesso Marchionne aveva suscitato un intenso dibattito con le proprie affermazioni sull’eccesso di capacità produttiva del settore e sulla necessità di un doloroso e quanto mai necessario processo di consolidamento. Le sofferenze così acute dell’auto sono quindi il risultato sia della crisi economica che non ha lasciato superstiti sia di un settore che ha molti e irrisolti problemi strutturali. Tutto ciò si è tradotto in cali violenti della domanda di auto e in conseguenti paurosi risultati economici.
I governi si sono quindi affrettati a correre ai ripari per tentare di arginare le difficoltà di un settore ancora cruciale per numero di occupati. Se è chiaro che non si può essere indifferenti a migliaia di lavoratori che di punto in bianco si trovano senza reddito è altrettanto evidente che i finanziamenti statali non possono essere illimitati e che ogni intervento ha un costo che prima o poi graverà sulle spalle di tutti i cittadini.
Fiat sicuramente ha allontanato di qualche mese lo spettro di un aumento di capitale che in questa fase risulterebbe particolarmente problematico, ma i benefici per il sistema appaiono meno certi e più discutibili. Non solo si pone il problema di un ingiusto privilegio destinato ai lavoratori di un particolare settore quando risulterà chiaro che non ci sono soldi per tutti, ma più di un dubbio rimane sull’opportunità di questa scelta.
Da più parti si invoca la necessità di un’analisi da cui emerga chi all’interno del mondo finanziario sia meritevole di essere salvato, perché meno esposto a attivi tossici e perché, semplicemente, una distinzione è richiesta quando non è possibile salvare tutti. Allo stesso modo si impone una decisione su cosa e quanto sia opportuno aiutare in questa fase nel mondo produttivo.
Non è escluso che alla fine si arrivi alla conclusione che il settore più sussidiato debba essere proprio uno dei più problematici, ma almeno sia il frutto di una scelta ponderata per evitare che alla fine ci si stupisca di quanto poco si potrà fare, ad esempio, per il distretto del mobile o per i settori del tessile piuttosto che dell’alimentare.