Dopo mesi di imperante pessimismo diffuso senza distinzioni tra investitori, economisti e imprenditori da qualche settimana si registra qualche cauta dichiarazione di scampato pericolo.

A titolo di esempio il governatore della Banca d’Italia Draghi all’inizio di aprile dichiarava che cominciavano a emergere segnali di rallentamento del deterioramento economico, mentre il ministro dell’economia Tremonti pochi giorni prima sosteneva che «ci sono piccoli segnali che non sono negativi come erano in gennaio» anche se, aggiungeva, non sufficienti per essere ottimisti. Ieri al coro dei cauti ottimisti si è aggiunta l’autorevole voce del presidente della Fed Bernanke secondo cui ci sono segnali che potrebbero far pensare a un rallentamento netto del declino dell’economia.

Dalla seconda metà di marzo si è assistito poi a un rally delle borse che ha interrotto un ribasso che durava ormai da tempo immemorabile. Si possono insomma cogliere alcuni elementi di novità rispetto alle notizie e allo scenario cui eravamo abituati fino a qualche settimana fa, che per la prima volta fanno intravedere una debole luce in fondo al tunnel della crisi.

Per arrivare a qualche considerazione utile però, si deve innanzitutto evitare di confondere quello che avviene giorno per giorno sulle borse e la prospettiva degli investitori con i dati che emergono dall’“economia reale”. Sarebbe inoltre fuorviante pensare di poter ripartire prescindendo da quanto è successo da settembre 2008 a oggi. Il conto che gli ultimi mesi ci lasciano in eredità è pesante e ci consegna un sistema finanziario profondamente mutato (dopo essere stato per molti mesi sull’orlo del baratro) oltre che debiti pubblici in rapidi salita dopo piani di stimolo e aiuto all’economia che non hanno paragone nella storia recente.

Il primo errore da evitare è quello di pensare che la situazione “normale” sia il contesto in cui si è vissuto nel 2007, quando è ormai chiaro che il sistema era già profondamente squilibrato. A prescindere dagli effetti che l’enorme massa di liquidità immessa nel sistema finanziario avrà nel medio-lungo periodo, il livello di indebitamento delle famiglie Usa e di alcune economie europee non è più sostenibile e la sua graduale diminuzione avrà effetti nei prossimi anni, così come certi livelli di leva finanziaria con cui molte banche operavano sono probabilmente destinati a non potersi più ripetere. Se dovessimo tornare come se niente fosse successo alla situazione pre-crisi ci sarebbe nuovamente di che preoccuparsi.

Dicevamo però che il quadro attuale lascia intravedere qualche segnale positivo. Il primo e più evidente è che il sistema finanziario sembra essere stato efficacemente puntellato e che il timore di fallimenti bancari a catena appare scongiurato. Ciò è sufficiente per poter riacquistare qualche minima certezza sul futuro immediato. A questo si può aggiungere che alcuni indicatori hanno interrotto la serie finora continua di ribassi. Le vendite di nuove case in Usa, le immatricolazioni di auto in Europa, la fiducia degli imprenditori in Germania indicano quantomeno la fine del periodo in cui i cali sequenziali di ogni indice economico si misurava con percentuali a due cifre.

Quanto appena detto è sufficiente agli investitori per cominciare a contare le ferite e a stimare la data di una possibile ripresa, anche se è diffusa la consapevolezza della fragilità di questi dati e la convinzione che siano ancora troppo pochi gli elementi per tornare a investire con forza. Premesso che, per quanto puntellati, i bilanci di banche e assicurazioni potrebbero riservare ancora qualche cattiva sorpresa, è l’“economia reale” che mostra di settimana in settimana quanto siano profondi gli effetti della crisi.

È notizia recente l’esplosione della cassa integrazione a marzo in Italia e in tutta Europa si assiste a un preoccupante aumento del numero dei disoccupati, mentre gli ordini dell’industria sono ancora in pesantissimo rosso. Questo dato di fatto continua a essere vero nonostante gli elementi positivi di cui sopra. Non saranno i rialzi di borsa nemmeno quando saranno più convinti a modificare questa realtà, anche se segnaleranno la fine non troppo lontana del periodo nero. Per avere il polso della situazione basterà attendere qualche giorno.

Da questa settimana saranno comunicati i risultati del primo trimestre delle società industriali e finanziare Usa (ieri è stata la volta di Goldman Sachs con risultati incoraggianti). Sulle prime non ci sono dubbi, sulle seconde non si attendono troppe cattive “sorprese”. Sarà un importantissimo test per conoscere lo “stato dell’arte” della crisi attuale e per capire quanto siano saldi i nervi degli operatori. Sarà comunque chiaro che per far uscire le imprese dalla crisi occorre tanto lavoro e che questo lavoro non può essere sostituito nemmeno in minima parte dalla performance delle borse.