Districarsi nella selva delle previsioni economiche che si leggono ogni giorno sta diventando sempre più difficile. Con quasi identica frequenza ci si imbatte in analisi ottimistiche sulla prossima uscita dalla crisi o previsioni tetre di ulteriori sconvolgimenti banco-finanziari. Premesso che rendere pubblica una previsione chiara, esponendosi a un notevole rischio reputazionale, è già meritevole di lode, rimane sul tavolo la questione di una tale diversità di opinioni.
L’universo degli osservatori, a qualsiasi titolo e per qualsiasi fine, si divide tra chi aspetta con fiducia il prossimo crollo finanziario, che questa volta sarebbe difficilmente arginabile, e chi vede i primi timidi segnali di ripresa e si è convinto che il peggio sia ormai passato. Il fatto singolare è che i dati di partenza non sono per niente diversi e anzi si potrebbe quasi concludere che le informazioni disponibili siano più o meno le stesse per tutti.
Gli ottimisti constatano il sensibile “rallentamento del peggioramento” economico e possono citare anche alcuni dati non secondari a sostegno delle proprie tesi: l’aumento della domanda di petrolio in Cina, incrementi degli ordini in alcuni settori industriali oppure il generale miglioramento della fiducia delle imprese e dei consumatori; i pessimisti evidenziano le enormi incognite che ancora pendono sul capo dei mercati e dell’economia: le banche hanno bilanci molto opinabili e miliardi di asset tossici sono scomparsi o sono stati congelati, mentre i bilanci statali già più che provati da crisi e salvataggi vari difficilmente potrebbero reggere l’impatto di un ulteriore scossone finanziario.
È curioso che non pochi macroeconomisti di importanti banche d’affari sposino la prima tesi; è curioso perché di tutto potrebbero essere accusati, magari anche di malafede, tranne che di essere degli ingenui o degli illusi del tutto ignari delle reali condizioni del sistema finanziario. Anzi conoscono perfettamente i rischi della situazione attuale e hanno toccato con mano le conseguenze dei disastri finanziari. L’ottimismo è in realtà relativo perché altrettanto condivisa è l’assunzione che occorreranno diversi trimestri per uscire dalla crisi e che il mercato sta solo anticipando un evento futuro non ancora in atto.
Il punto cruciale però è che o è bianco o è nero e il grigio è un’ipotesi non contemplabile. O il rischio sistemico è finito e quando timidamente si ripresenterà verrà immediatamente e non troppo difficilmente neutralizzato o invece è solo sopito, e prima o poi (più prima che poi) si ripresenterà sotto forma di fallimenti bancari, questa volta veri e senza rete di salvataggio, o sotto forma di default di debiti sovrani. Se il rischio sistemico è accantonato allora il peggio è veramente passato e il percorso di guarigione, per quanto lungo e doloroso, è ormai avviato, diversamente è solo una questione di tempo prima che l’uragano passi e lasci le macerie su cui ricostruire.
Tutte le barricate contro la pubblicazione dei risultati di un eventuale stress test europeo sono l’espressione più chiara della volontà di stroncare sul nascere qualsiasi elemento che possa ravvivare la fiamma dell’incertezza e della paura. Nessuno vuole più avere a che fare con i risparmiatori in coda per ritirare i depositi, né a Londra, che per prima ha assistito al fenomeno, né in Italia, né tanto meno in America dove lo stress test è stato attutito da ipotesi di base non molto aggressive e dove è stato reso pubblico con già la soluzione in mano.
Posto che anche i pessimisti intimamente sperano di essere smentiti, gli altri, ben consci del livello dei problemi che rimangono aperti, credono che il graduale miglioramento dell’economia (o la fine del peggioramento) possa dare abbastanza tempo a tutti di “sistemare le cose” e di rimettere in ordine i bilanci pubblici e privati. Tutti sanno che il crinale su cui corre l’avverarsi di uno o dell’altro degli scenari è molto sottile e pericoloso e nessuno oggi può escludere uno dei due con certezza assoluta.
Una previsione però si può fare: le attuali condizioni dei mercati finanziari permetterebbero a banche e assicurazioni di salvare i bilanci semestrali (poche svalutazioni e ricavi da trading) e per questo nessuno ha interesse a vedere drammatici peggioramenti prima del 30 giugno quando i conti, nel bene o nel male, verranno chiusi.