Se avete letto su queste autorevolissime pagine di imminenti crolli banco-finanziari, non avete sentito, come al solito, nulla che non sia privo di motivazioni e argomenti forti. Anzi l’ipotesi di crollo più o meno esteso del sistema finanziario è non solo lecita ma sommamente degna di essere presentata, perché, dopo aver dominato le scene di quotidiani e televisioni, è stata ingiustamente espulsa dal dibattito ufficiale.

Attualmente però racchiudere in uno scenario economico definito e sicuro i fatti e le indicazioni che emergono dal mondo produttivo e finanziario costituisce un compito improbo e se c’è una cosa certa è che nessuno, da Bernanke in giù, è in grado di prevedere quello che succederà nei prossimi mesi. Basterebbe questa ammissione di impotenza per evitare di cadere in facili entusiasmi al primo timido segnale di inversione o, come accade in certe giornate di borsa, per stracciarsi le vesti di fronte al primo calo in singola cifra dopo mesi di cali in doppia cifra.

Quello che si può dire senza esser costretti a passare per ottimisti (che di solito sembrano sempre più stupidi e meno interessanti dei pessimisti) è che in questo momento ci sono due possibili scenari quasi ugualmente probabili e uno improbabile. L’ultimo è quello più in voga e si fonda su alcune evidenze apparentemente inconfutabili che sostanzialmente si riducono a due assunzioni di base: la prima è che l’economia ha già toccato il fondo e visto il peggio e che quindi avremo davanti miglioramenti e buone sorprese; la seconda è che il sistema bancario è stato puntellato e se mai dovesse mostrare ancora segni di squilibrio, un’azione coordinata statale vi porrebbe rimedio come già più volte accaduto. Secondo questa ipotesi sarebbe possibile uscire dalla crisi già alla fine del 2009, mentre il 2010 sicuramente sarebbe un anno di marcato recupero.

Ciò che sembra caratterizzare questa analisi è un certo ingiustificato ottimismo sulla salute del sistema finanziario e in genere sulla solidità dei bilanci statali. In Europa, per rimanere nel caso più vicino, ci sono ancora un numero considerevole di banche “zombie” che tanto per dire un numero hanno una leva attivi/capitale proprio vicina o superiore a 80 volte (Barclays, Deutsche bank e Postbank), mentre altre grandi istituzioni europee (Royal Bank of Scotland, Credit Agricole, LLoyds e HSBC) viaggiano sul preoccupante valore di 40. Sono valori probabilmente non più sostenibili nemmeno nel caso di coma farmacologico dell’attività bancaria e anche in presenza di un recupero economico.

La situazione è aggravata dalla contestuale debolezza della finanza pubblica che è stremata dopo essere stata spremuta per fermare il crollo finanziario iniziato lo scorso autunno. Anche in questo caso rimangono elementi di preoccupazioni su alcuni stati dell’Est Europa o su altri ex protagonisti del boom finanziario come l’Irlanda (proprio ieri lo spread tra debito irlandese e tedesco ha toccato il massimo da fine aprile).

È su questa evidente situazione di squilibrio che si basano i due scenari probabili. Il primo è quello apocalittico secondo cui al primo nuovo scossone si avvierà una catena di crolli che le finanze statali non saranno più in grado di fermare, se non immettendo così tanta liquidità da produrre effetti ugualmente devastanti.

Il secondo è quello su cui tutti sperano e che meriterebbe qualche considerazione in più se non altro perché evita di farci cadere in un disfattismo e un fatalismo assolutamente nefasti. In questo caso ciò che si prospetta è una lenta, faticosa, ma non traumatica, uscita dalle follie finanziarie che ci hanno portato a questo punto. 

Tutti a qualsiasi livello stanno facendo il possibile per evitare che gli squilibri di cui sopra arrivino al punto di rottura, ma ciò non basta per una rapida uscita dalla crisi e soprattutto per rivedere il contesto economico in cui si è vissuti nel 2007. Come in casi ben più “micro” e individuali un eccesso di debito e di leva si guarisce con anni di risparmi e economie, così è probabile che occorrano anni per riportare debiti statali e bancari ai livelli pre-crisi, mentre nel frattempo l’economia si troverebbe alle prese con tassi di crescita bassi e da “old economy”. 

Sposare questa tesi, che pare ragionevole e motivata, non costringe alla scomoda posizione dell’ottimista ingenuo, ma al contempo dà tutta la misura dello sforzo e dell’intelligenza richiesti per porre rimedio alle follie finanziarie di molti.