Questa settimana è il turno di Pirelli Re che ha avviato una misura di rafforzamento patrimoniale da 400 milioni di euro. Poi sempre nella galassia Pirelli-Tronchetti Provera sarà il turno della controllante di Pirelli, Camfin, che giusto venerdì ha annunciato un aumento di capitale da 100 milioni di euro. Nelle ultime settimane invece, nel settore delle utility, le protagoniste sono state Enel e Snam con aumenti di capitale rispettivamente da 8 miliardi di euro e 3,5 ciascuna. Continuando l’elenco non è trascorso molto tempo dalla chiusura dell’aumento di Seat e dall’annuncio di una nuova iniezione di capitale per Tiscali.
La lista delle società che hanno avviato aumenti sarebbe con i nomi appena citati già abbastanza piena e prestigiosa, ma con ogni probabilità è destinata ad allungarsi ulteriormente nei prossimi mesi. Se allargassimo l’analisi all’Europa scopriremmo poi che il fenomeno non è esclusivamente italiano, ma largamente diffuso in tutti i listini europei. Una tale concentrazione di operazioni di rafforzamento patrimoniale in un periodo così breve è assolutamente inusuale e merita sicuramente qualche riflessione.
La prima e più ovvia è che si sta assistendo a uno dei tanti effetti della crisi finanziaria che ha posto alle aziende problemi che meno di un anno fa sarebbero stati facilmente evitati. I casi citati sono vari e gli aumenti sono diventati necessari per motivi diversi, ma oltre al comune denominatore della crisi, si possono ravvisare altri elementi comuni. Trovarsi improvvisamente con una domanda di prodotti o di servizi inaspettatamente più bassa anche di molti punti percentuali rispetto alla norma mette la struttura finanziaria di qualsiasi impresa sotto stress, sia perché con meno ricavi diventa più difficile onorare le scadenze del debito sia perché è facile ritrovarsi alle prese con un’esplosione imprevista del circolante.
Questa però è la causa scatenante più immediata e “banale” e se ne possono aggiungere almeno altre due. Nel caso di Enel per esempio il notevole aumento del debito derivato dall’acquisizione di Endesa (che ha di fatto cambiato il volto della società) sarebbe stato probabilmente innocuo se non fosse cambiato radicalmente l’approccio del mercato e degli investitori nei confronti di certi livelli di leva. Ciò che prima era ampiamente tollerato o considerato auspicabile è diventato improvvisamente uno straordinario elemento di debolezza, oltre che fonte inesauribile di preoccupazioni. Per questo dopo mesi di rumours e voci Enel si è affrettata a ricorrere al mercato per evitare probabili downgrade del debito.
Alcune società invece si sono trovate improvvisamente “fuori mercato”, dopo essere state abituate per anni a condurre la propria attività con certi (alti) livelli di debito e la pressione delle banche creditrici, a vario titolo (nel caso di rottura dei covenant l’aumento può diventare d’obbligo), è stata tale che si è dovuta cambiare la modalità stessa con cui si era operato fino a pochi mesi prima. Tanto debito in caso di attività profittevole, specie nel breve periodo, non fa altro che aumentare i ritorni dell’azionista ma per ovvi motivi rende la società più esposta ai rischi derivanti da momenti di incertezza e recessione.
A ben vedere e fatte le debite eccezioni non sono quindi solo le banche e le istituzioni finanziarie ad aver calcato troppo la mano con l’assunzione di rischi insostenibili nel medio-lungo periodo o ad essersi trovate impreparate e inadeguate alle mutate condizioni di mercato; anzi parte del mondo produttivo o della cosiddetta economia reale si è scoperta contagiata dallo stesso morbo che ha afflitto gran parte della finanza planetaria.
Anche in questo caso non tutti i problemi si sono ancora manifestati e gli aumenti di capitale saranno probabilmente una costante nei prossimi mesi; come per il sistema finanziario poi non si potrà tirare il sospiro di sollievo finale prima che ci si sia definitivamente assestati su nuovi e meno rischiosi modi di operare. L’unica magra consolazione è che il sistema di piccole e medie imprese italiano dopo essere stato accusato di arretratezza e provincialismo non ha mai, nemmeno negli ultimi anni, perso il proprio sano sospetto verso debiti ingiustificati e operazioni finanziarie stranamente alla moda.