In attesa di capire che cosa ci riserverà l’economia al ritorno dalle vacanze, gli ultimi brividi finanziari ci sono stati regalati dal caso derivati che scommettiamo si ripresenterà puntuale questo autunno. Nelle ultime settimane sono saliti agli onori della cronaca perché sarebbero stati responsabili, con l’attiva complicità delle banche, di perdite milionarie ai danni di un numero elevato di amministrazioni pubbliche, oltre che di migliaia di imprenditori.

L’opinione comune li ha inseriti d’ufficio nel calderone indistinto dei prodotti tossici mentre la loro maggiore e naturale contiguità con l’economia reale li ha resi più facili vittime di inchieste e accuse. Dopo tante pagine ci si aspetterebbe che almeno alla domanda su cosa siano i derivati ci siano ottime probabilità di ottenere una risposta non troppo distante dalla realtà, ma il sospetto è che, come spesso accaduto, alcune informazioni importanti si siano perse per strada tra una frase indignata e un titolo a effetto.

Tra queste informazioni perdute almeno due o tre meritano qualche attenzione. La prima potrebbe essere che esistono infiniti (nel senso letterale del termine) derivati che rispondono a esigenze diversissime tra loro. Solitamente la versione buona dei derivati è quella di tutelare una controparte da rialzi o ribassi inattesi o troppo bruschi di materie prime e tassi di interesse. In questa versione un’impresa è disposta a pagare la banca per acquistare un prodotto con alcune precise finalità.

I casi tipici sono due: derivati che impediscono a un tasso variabile di eccedere un certo livello (o di farlo oscillare in una banda) sono sottoscritti da chi non vuole o non può fronteggiare il rischio che i tassi di interesse si alzino troppo o troppo in fretta con i relativi effetti sulle rate del debito/mutuo. È chiaro infatti che per un imprenditore è molto più facile capire le dinamiche del proprio settore piuttosto che quelle dei mercati finanziari magari per molti anni a venire. La stessa logica riguarda le materie prime perché improvvisi o ampi rialzi delle materie prime impediscono a un imprenditore di programmare bene le vendite e il futuro dell’azienda.

Ovviamente nessuno a priori può sapere se a cose fatte il costo si sarà rivelato inutile o utile perché per esempio tassi e prezzi di materie prime sono rimasti costanti, ma si può considerare preferibile una situazione in cui le variabili più volatili e esogene sono maggiormente sotto controllo e in cui l’imprenditore o l’amministratore si può concentrare su ciò che conosce meglio. In un normale e sano rapporto banca cliente tutto ciò dovrebbe portare, e in molti casi porta, a prodotti semplici e chiari senza alcuna componente speculativa.

Il dovrebbe è d’obbligo perché il derivato può essere non solo molto complesso ma anche usato per finalità speculative che niente hanno a che vedere con le esigenze di imprese e amministrazioni. Questo fatto, come in moltissimi altri casi, lascia spazio a un’asimmetria informativa tra cliente e banca che può essere enorme e in cui trova gioco chi vuole facili guadagni. Non serve essere esperti di finanza per capire che il caso in realtà è molto più comune di quanto pensiamo e che accade ogni volta che si deve comprare qualcosa di cui “non ci si intende”.

Sottoscritto il derivato, subite le perdite, che in realtà possono anche avvenire con la buona fede di tutti, ci si può accorgere di essere stati “fregati” o di aver comprato una cosa diversa da quello che si pensava assumendosi un rischio che non si voleva assolutamente correre. Così per esempio la cronaca ci ha offerto casi di comuni o procure che hanno denunciato e indagato le banche. Il punto è che in questo caso non ci sono macchine col contachilometri truccato, videoregistratori con dentro mattoni o un contratto scritto con inchiostro simpatico, ma documenti firmati alla luce del sole dove tutto era in teoria conoscibile fin dall’inizio. Per questo dimostrare la colpa che potrebbe avere la cattiva banca oppure tutelarla nel caso di cliente opportunista (era consapevole ma tenta comunque di recuperare) diventa assai difficile.

Evitando di essere ingenui si potrebbe in caso di prodotti particolarmente sofisticati ed esotici anche presumere che un piccolo imprenditore possa essere stato ingannato sulla reale validità del derivato, quanto meno singolare sarebbe invece il caso di lamentele provenenti da chi ha comprato derivati su nozionali di centinaia o miliardi di euro e che si dichiara incompetente; singolare perché altrimenti non si capirebbe come sia possibile una tale ingiustificata e azzardata assunzione di responsabilità.

L’unica cosa certa è che anche in questo caso qualsiasi semplificazione pone le basi perché tutto rimanga nella sostanza immutato e che qualsiasi fatto cada in un limbo dove tutto è mediamente legale o illegale e dove nessuno è colpevole di niente. Non tutti hanno fatto e venduto gli stessi prodotti finanziari alle stesse persone e il vizio di guadagnare tutto e subito e poi lasciare il cliente a se stesso non ha contagiato chiunque. Qualcuno ha preferito, nel proprio interesse, fidelizzare i clienti con prodotti sani e ora probabilmente prenderà anche i clienti dei concorrenti scorretti. Se e quando la crisi finirà aver capito, punito dove necessario e saputo distinguere farà tutta la differenza possibile tra una ripresa solida e una ancora estremamente fragile.