Dopo molti mesi di silenzio è arrivata alla fine la dichiarazione più legittima e in un certo senso scontata sulla saga Telecom Italia/Telefonica. Lunedì il ministro dell’industria spagnolo, Miguel Sebastian, ha fatto presente che, senza voler intromettersi in una questione che riguarda due aziende private (Telecom Italia e Telefonica), si augura che da parte italiana ci sia maggiore reciprocità agli investimenti spagnoli. Si può, forse, obiettare sull’opportunità di una dichiarazione di un politico su una questione che coinvolge in modo decisivo due società quotate, ma sicuramente nessuno che abbia un filo di memoria e un po’ di buona fede può trovare qualcosa da ridire sulla sostanza dell’auspicio di Miguel Sebastian.
Nel corso degli ultimi anni Enel ha conquistato Endesa, Mediaset attraverso Telecinco ha acquistato Cuatro e il 22% di Digital plus, RCS ha comprato Recoletos e Antena3, che ha già tra i propri azionisti il gruppo de Agostini, si sta con ogni probabilità apprestando a rilevare la sexta. Al contrario Santander e BBVA hanno perso le partite su Sanpaolo e Bnl mentre Abertis ha trovato nell’ex ministro delle infrastrutture Di Pietro un ostacolo insormontabile sulla strada della fusione con Autostrade (ora Atlantia).
Sarà anche che gli spagnoli hanno trovato di fronte a sé governi più consapevoli del fatto che il cosiddetto “sistema Paese” non può permettersi di perdere del tutto la capacità di controllo su parti particolarmente sensibili dell’economia (c’è stato un momento in cui ben più della metà del sistema finanziario italiano era a rischio); oppure che siano stati più sfortunati là dove altri hanno avuto maggiore successo (le imprese francesi), rimane comunque il dato difficilmente contestabile che gli spagnoli abbiano accumulato qualche credito nei confronti dell’Italia.
Era quindi solo una questione di tempo prima che qualcuno in Spagna facesse notare educatamente il caso Telecom Italia-Telefonica. D’altra parte non occorre nemmeno alzare troppo la voce di fronte a una vicenda i cui termini sono di per sé piuttosto evidenti. Evidenti, ovviamente, anche agli investitori che ai primissimi e finora, come vedremo poi, timidissimi segnali di agitazione a inizio settimana hanno premiato il titolo Telecom dopo settimane se non mesi di totale apatia.
I segnali sono timidissimi dato che, perché ci sia una svolta nell’azionariato, e con ogni probabilità anche nelle quotazioni, manca ancora la condizione necessaria. La quotazione è depressa e vittima della mancanza di chiarezza strategica della società. Il focus della società si è negli ultimi anni indirizzato sempre di più sul mercato domestico e negli ultimi mesi complice anche la minore effervescenza del mercato brasiliano la tendenza si è accentuata ancora di più. L’unico brivido che potrebbe però regalare il maturo e sfidante mercato italiano è la riduzione del numero degli operatori sul mobile da quattro a tre con l’uscita o l’assorbimento di Tre. Un mercato interno meno competitivo potrebbe finalmente dare una boccata d’ossigeno anche a Telecom Italia.
Certo è che al momento un ipotetico investitore europeo che dovesse scegliere un titolo telecom per il 2010 troverebbe società presenti in paesi maturi ma con mercati meno competitivi, o con meno debito e più dividendi, o ancora potrebbe scommettere su un operatore esposto ai mercati emergenti che non sembrano conoscere crisi. Alla fine della lista dei titoli preferiti ci sarebbe Telecom Italia che non sembra avere la forza per svincolarsi in alcun modo dalla tendenza alla diminuzione della spesa per servizi telefonici che la crisi ha provocato. Una tendenza che non dovrebbe finire nel breve visto che la spesa per questo tipo di “bene” sembra più correlata al tasso di occupazione che alla crescita del pil.
L’unica vera svolta può arrivare solo da una compagine azionaria stabile possibilmente guidata da un soggetto industriale forte che abbia la possibilità e le capacità per tirare fuori Telecom dalle secche in cui è finita. Telefonica corrisponde perfettamente a questo identikit e non solo è la meglio posizionata (perché già presente in Telco), ma può vantare diversi crediti nei confronti del sistema; il primo è il prezzo pagato per mettere un piede in Telecom (2,90 euro per azione), il secondo è il credito che la Spagna ha maturato verso l’Italia in questi anni.
Se fosse tutto così semplice la vicenda sarebbe risolta da mesi, ma sfortunatamente c’è ancora un ostacolo enorme sulla strada del successo finale di Telefonica. Se non si trova un modo qualsiasi per garantire al governo italiano un certo controllo, diretto o indiretto, sulla rete a Telefonica non resta che armarsi di pazienza. La separazione della rete probabilmente è una soluzione troppo complessa e radicale perché vada a buon fine e di certo renderebbe una “Telecom Italia ex-rete” una società meno appetibile; un ipotetico investitore italiano invece, che potrebbe rassicurare il governo sull’italianità del gruppo affiancando gli spagnoli, dovrebbe avvicinarsi ai prezzi da capogiro pagati dalle banche. Qualsiasi tentativo in questa direzione sarebbe precluso a un operatore puramente finanziario e sarebbe invece in qualche modo percorribile da un soggetto in grado di estrarre qualche sinergia industriale.
Insomma tutto fa pensare che nel breve periodo le carte sul tavolo siano destinate a non cambiare, ma la dichiarazione di Miguel Sebastian segnala una crescente insofferenza che non può rimanere senza soluzione all’infinito. A un certo punto la società spagnola potrebbe perdere la pazienza e magari tentare di forzare la situazione, sicura di avere in sede europea una sponda affidabile; un’eventualità che al momento sembra però remota.
A proposito di investitori italiani invece e se proprio si dovesse fare un nome, sarebbe impossibile non pensare almeno per un secondo a Mediaset, che avrebbe sicuramente qualche ragione industriale da spendere. Al secondo numero due però verrebbe in mente la colossale opposizione che si leverebbe contro il progetto che farebbe desistere da ulteriori riflessioni anche il più inguaribile degli ottimisti.