Avevamo appena finito di discutere delle implicazioni strategiche dello spin-off di Fiat auto che l’ennesima notizia sulla casa di Torino ha dato nuovi spunti a chi si interroga sul futuro della principale società industriale italiana. Lunedì Fiat ha annunciato le dimissioni di Monferino, amministratore delegato di Iveco, e la sua sostituzione con Alfredo Altavilla.
Se all’orizzonte non ci fosse lo spin-off e se Marchionne non avesse detto quello che ha detto sulle dimensioni minime per competere, potremmo anche correre il rischio di catalogare questa notizia tra le normali attività di routine di una grande società quando deve rimpiazzare un manager di 64 anni che lascia l’industria per la sanità pubblica piemontese. Il diavolo però, come si dice sulle rive del Tamigi, si nasconde nei dettagli e quindi è sempre meglio, nell’indecisione, dare un’occhiata da vicino.
Altavilla prima di questo ruolo occupava il posto di amministratore delegato di Fiat Powertrain Technologies (più semplicemente la società che si occupa dei motori del gruppo) ed era responsabile del “business development” del gruppo. Al di là dei nomi e delle sigle, quello che importa è che è negli ultimi anni è stato particolarmente attivo nella costituzione di alleanze per la condivisione con altre società dello sviluppo di motori e piattaforme e che più recentemente ha ricoperto un ruolo decisivo nell’operazione Fiat/Chrysler.
Sarebbe “incredibilmente” l’uomo giusto al posto giusto per traghettare Iveco verso qualche alleanza o fusione con un’altra società. Dopo Fiat con Chrysler, e quello che succederà poi, le novità non sembrano quindi essere finite. Non è certamente Iveco la malata di casa Fiat e durante la crisi ha sollevato molte meno preoccupazioni di quanto abbia fatto l’auto, eppure uno sguardo alla presenza geografica delle società mostra alcuni buchi particolarmente degni di nota. Il primo è negli Stati Uniti, il secondo è in India. La società negli ultimi anni è stata capace di ritagliarsi una posizione di rilievo in Brasile e in Cina partendo sostanzialmente da zero, ma replicare questi successi non è affatto semplice in un settore diventato molto più competitivo e difficile.
Negli Stati Uniti si potrebbe eventualmente ipotizzare un’entrata solitaria, mentre per lo sterminato mercato indiano sarebbe tutto molto più semplice con un partner di peso. Proprio in India Fiat ha nel gruppo Tata un partner storico e proprio nel cda di Fiat siede il presidente del gruppo Tata. Individuare già oggi i possibili partner di Iveco non è un compito semplice anche se qualche indicazione di massima si potrebbe già avere; molto più semplice e ragionevole è ipotizzare un’altra operazione di aggregazione nel 2011 che riguardi la società di veicoli pesanti del gruppo.
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Non si tratta né di fanta-finanza né di fanta-industria; la somma dello spin-off e della nomina del nuovo ad di Iveco danno suggerimenti interessanti sulla strategia futura di Marchionne. Per i più dubbiosi basta segnalare l’attivismo degli investitori sulla possibile conversione delle Fiat risparmio e privilegio in ordinarie (sia auto che industrial) che eliminerebbe uno dei possibili ostacoli a una fusione tra Chrysler e Fiat e tra Iveco e un nuovo partner.
Uno dei pochi elementi di perplessità sulla strategia di Marchionne riguarda invece la preoccupante e prolungata mancanza di nuovi modelli di Fiat auto. I motivi di questa scelta sono noti e riguardano l’avversione di Marchionne per grossi investimenti dai ritorni incerti in un contesto di mercato debole e iper-competitivo come quello attuale dell’auto. I benefici di questa scelta sono gli investimenti contenuti (con minori debiti), i pochi rischi e la possibilità magari di avere più munizioni per periodi migliori.
La pena del contrappasso sta cominciando invece a diventare sempre più evidente man mano che vengono resi noti i dati mensili sulle immatricolazioni: Fiat sta perdendo quote di mercato in favore dei concorrenti nella maggior parte dei Paesi europei, Italia inclusa. La strategia a lungo andare può diventare molto rischiosa e mettere a rischio una parte del futuro della casa di Torino. Questa scelta salvaguarda i conti della società, ma non quella della rete di concessionarie che dopo una prolungata assenza dei clienti per mancanza di nuovi modelli si vede sfilare i clienti stessi dai concorrenti.
Il primo possibile rischio è il cambio di marchio di riferimento per alcune concessionarie Fiat, soprattutto nei Paesi dove la quota di mercato è più bassa (e dove già la rete è appena sufficiente), con un conseguente indebolimento della rete commerciale, ancora decisiva per raggiungere il cliente finale (nonostante l’era internet); il secondo è la disaffezione dei clienti verso un marchio che ha smesso di andare sul mercato con nuove vetture e la cui gamma può cominciare a essere percepita come obsoleta e un po’ fuori moda.
Nell’euforia per l’operazione finanziaria, con valide ragioni industriali, dello spin-off, questo tema fatica a farsi strada sulle pagine dei giornali, invece sta già cominciando a guadagnare posizioni sulle scrivanie degli investitori. Un bel modo per dire che prima o poi dovremo tornare a occuparcene anche noi; nonostante la mezza anteprima che abbiamo appena dato.