È notizia di lunedì la mega fusione tra la società telefonica russa Vimpelcom e Weather Investments, la società che controlla l’italianissima Wind e Orascom compagnia telefonica che opera principalmente nel mediterraneo e in medio oriente (oltre che in Corea del Nord). L’operazione darà origine a un nuovo colosso delle telecom diffuso in alcuni dei mercati più promettenti come crescita demografica e prospettive economiche. Inutile specificare che in questo scenario la “solitudine” di Telecom Italia sia destinata a diventare sempre più evidente anche se da qualche mese su questo versante tutto tace.

Il settore telecom sta attraversando un importante momento di riorganizzazione basti pensare all’opa di Swisscom su Fastweb, alla cessione di China mobile da parte di Vodafone, oppure alla fusione del colosso indiano Bharti con Zain Telecom che ha la maggior parte dei clienti in Africa.

Allargando la visuale ad altri settori il numero delle operazioni di fusione o di acquisizione risulta sorprendentemente elevato nei settori più disparati. Intel a metà agosto che compra McAfee per 8 miliardi di dollari, Bhp Billiton (settore minerario) che offre per Potash 40 miliardi di dollari, sanofi Aventis (farmaceutica) che mette sul piatto 18,5 miliardi di dollari per la società di biotecnologie Genzyme.

Potremmo continuare per molte righe perché gli esempi solo negli ultimi mesi sono abbondanti. Al momento sembra mancare all’appello il settore finanziario con banche e assicurazioni anche se probabilmente l’assenza è dovuta più all’incertezza normativa e a un certo senso del pudore dopo i fasti degli ultimi anni piuttosto che a mancanza di volontà e di fondi. Quello che importa al momento è rilevare due tendenze presenti in una certa economia reale.

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La prima è quella della ricerca dell’efficienza e delle sinergie soprattutto quando si opera nei mercati maturi. Se, come pare, lo scenario economico che abbiamo di fronte è quello di una crescita molto moderata, riorganizzarsi e recuperare margini sui costi diventa un fattore chiave per sopravvivere e competere; basta pensare all’industria auto e a quanto ha detto e fatto Marchionne con Fiat negli ultimi due anni.

La seconda tendenza è decisamente ben più degna di nota. I tassi di interesse sono ai minimi storici da un periodo molto lungo di tempo e se l’inflazione dovesse rimanere bassa ancora per i prossimi mesi non dovrebbero emergere particolari cambiamenti rispetto a questo quadro. Le banche si sono ripatrimonializzate e possono accedere ai fondi della BCE o al mercato a basso costo.

Per questo se qualcuno si fosse chiesto dove sono finiti i soldi e i crediti di una buona parte del sistema bancario dovrebbe rileggersi attentamente le operazione di fusione e acquisizione finalizzate negli ultimi mesi. La ragione di questo fenomeno si può fare tranquillamente risalire a una epocale comunanza di interessi tra banche e grandi imprese, una sorta di congiunzione astrale del credito.

 

 

Le banche devono impiegare i fondi ottenendo uno spread ma sanno che la visibilità è molto bassa e la volatilità sui mercati molto alta per cui si fidano poco o guardano con diffidenza le piccole e medie imprese che vogliono investire perché sanno (per averlo provato sulla propria pelle) che gli scenari possono mutare in qualche settimana e non vogliono trovarsi esposte verso settori che possono subire forti contrazioni e verso imprese che non hanno reti di salvataggio. D’altra parte a qualcuno devono pur prestare per ottenere il margine di interesse.

 

 

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Poi ci sono le grandi imprese quotate che hanno un accesso diretto o comunque molto semplice ai mercati dei capitali. Magari queste imprese si sono ricapitalizzate negli ultimi mesi grazie agli investitori pieni dl liquidità da impiegare o magari hanno riscadenziato il debito a prezzi d’affezione dopo aver tagliato all’osso i costi. Sono società che potranno far fronte a un’eventuale futuro ritorno della crisi perché hanno una struttura dei costi già efficiente e non devono restituire il debito a breve; nella peggiore delle ipotesi si può sempre fare un aumento di capitale.

Sono state percepite come meno rischiose dalle banche perché esposte a più mercati o perché leader nel proprio settore o perché più capaci di prevedere il futuro del loro indotto; più rapide e decise nel tagliare e, last but not least, più difficili da far fallire per l’elevato numero di dipendenti (più di una pmi) con le relative maggiori possibilità di far pressioni sui governi. Quando le banche a inizio 2009 hanno ricominciato a dare crediti dopo l’abbassamento dei tassi della BCE sono state le prime a cui il sistema bancario ha guardato.

 

Queste società, quelle solide, grandi e magari quotate che sono state brave a reggere il peso della crisi, non hanno il problema del credito, in alcuni casi hanno la fila delle banche che propongono finanziamenti. Per questo trovando i costi del finanziamento molto bassi possono usarli per comprare società con business già avviati di cui conoscono perfettamente lo scenario competitivo: ritorni certi, o molto poco rischiosi, e costi bassi.

Come biasimarle se sfruttano un’occasione che potrebbe anche non ripetersi? Se lo scenario rimane questo nessuno perde e si migliora la posizione competitiva, se migliora ci sono i guadagni più facili del mondo. Se nel futuro non ci sono sconvolgimenti eccessivi e le nubi sul futuro si diradano avremo modo di commentare qualche maxi-fusione bancaria o perché no assicurativa.