Capiamo perfettamente che parlare di certi temi economici così noiosi, fastidiosi e di secondaria importanza, come per esempio il crollo delle borse, il “fallimento” dell’Irlanda e la tenuta dell’euro, sia un po’ naif in un contesto in cui tutti sono finalmente impegnati a far fare il vero salto di qualità al Paese con il cambio di Governo. Per i pochi coraggiosi ed eccentrici che vogliono capire cosa si stia giocando in questi giorni basta iniziare citando il mezzo dramma che hanno vissuto le borse europee ieri: Milano -2,07%, Madrid -3,05%, Dublino -2,86%, Francoforte -1,72%, Londra -1,75%. Il cambio euro dollaro è passato in 24 ore da 1,3647 a meno di 1,34.



Quello che è successo è che col passare dei mesi, dopo il salvataggio della Grecia, anche il debito irlandese è diventato per gli investitori “improvvisamente” pericoloso e insostenibile. Quest’anno l’Irlanda chiuderà con un deficit/Pil del 32%. Il caso ha origini assolutamente diverse da quello greco; non si è trattato di finanza statale allegra, conti truccati e welfare insostenibile, ma di banche irlandesi a pezzi a causa dello scoppio della bolla immobiliare e di investimenti sbagliati salvate dallo stato.



Qualsiasi sia l’origine, gli investitori hanno cominciato a percepire come pericolosa e irrisolvibile questa situazione e hanno “preteso”, per comprare debito irlandese, tassi sempre più alti fino a che è apparso evidente che il debito irlandese non poteva essere sostenibile senza un aiuto. Il pacchetto di aiuti, dopo qualche giorno di trepidazione, è arrivato puntuale. Da domani sarà il turno del Portogallo (11 milioni di persone), poi quello della Spagna (46 milioni) e allora le cose saranno già estremamente critiche, se non fosse che poi si arriverà all’Italia (60 milioni), detentrice del maggiore debito pubblico d’Europa. Se questa è l’escalation che ha ben in mente anche l’ultimo dei trader seduto nella provincia della provincia dell’impero finanziario è molto facile capire che difficilmente potremo assistere a performance migliori di quelle viste ieri.



Il gioco è molto semplice: i timori sul debito di uno stato con una posizione debitoria particolarmente debole si allargano, i tassi sul debito salgono fino a che diventano insostenibili; il vero sforzo è capire dove finisce questa escalation.

Incolpare la solita finanza malata, elevando grida contro gli speculatori è utile per sfogarsi 5 minuti senza sforzarsi di andare al fondo dei problemi. La realtà è che chiunque al mondo debba rispondere ad azionisti e clienti quando presta soldi non suoi chiede di più al debitore più rischioso, altrimenti a parità di prezzo sceglierà sempre quello più virtuoso o meno rischioso. Questo è quello che succede ora: la Germania è di gran lunga il debitore meno rischioso, ha fatto sacrifici, non ha sprecato soldi e ha un’economia che cresce a tassi record; tutti gli altri inseguono e devono pagare per il proprio debito qualcosa di più: si va dai 163 punti in più per l’Italia fino ai 600 dell’Irlanda, passando per i 237 della Spagna e i 433 del Portogallo.

La Germania finora è stato il principale contributore dei piani di salvataggio, ma questo aiuto non potrà andare avanti all’infinito e si fermerà davanti all’enormità del compito quando sarà il turno della Spagna. Il contribuente tedesco, che si è visto alzare le tasse e tagliare il welfare si sta chiedendo se questo serve a pagare le baby pensioni dei greci, la gestione finanziaria allegra di Spagna e Portogallo o perché no l’ennesima infornata di dipendenti pubblici in Italia. Per interrompere questo circolo vizioso non ci sono molti modi.

 

Il primo sarebbe un taglio della spesa pubblica molto forte dei Paesi spreconi. L’Irlanda, che pure aveva provato con un programma mostruoso da 15 miliardi di euro, non ce l’ha fatta di fronte ai calcoli di chi si rendeva conto che nemmeno uno sforzo del genere sarebbe bastato per restituire i circa 100 miliardi di aiuti richiesti in un tempo ragionevole. Il fatto che l’attuale governo irlandese non sopravviverà a questo tentativo la dice lunga sulle chance di Portogallo, Spagna e Italia. Non vogliamo nemmeno chiederci cosa accadrebbe qua se il Governo annunciasse licenziamenti di dipendenti pubblici, finora nemmeno sfiorati da una crisi che ha lasciato a casa migliaia di dipendenti privati.

 

La proposta della Germania di imporre percorsi forzati di rientro del debito, penali da pagare e sospensioni dei diritti di voto per gli stati “canaglia” a livello europeo incontrerà inevitabilmente opposizioni insormontabili. A quel punto i tedeschi potrebbero benissimo alzare le mani e chiudere la vicenda con un sonoro “arrangiatevi”. Il problema è che non è mai stata prevista nessuna possibilità di uscita dall’euro. Le possibili conclusioni non sono poi molte. Che i tedeschi paghino per tutti sempre e comunque è un’ipotesi che si può escludere, probabilmente potrebbero continuare a farlo solo in cambio di limitazioni alla sovranità nazionale in termini di gestione economica-finanziaria. In alternativa c’è il taglio del debito, ma il problema qui è chi pagherà questo conto.

 

È notizia di ieri che la Germania vorrebbe caricare sugli investitori privati questo salvataggio. Questo è il punto dolente. È accettabile salvare con i soldi pubblici uno stato regalando di fatto dei soldi quando il detentore privato del debito non solo non rischia niente, ma ottiene anche un extra rendimento “gratis”? L’investitore che ha comprato il debito portoghese tre anni fa, in buona fede scommetteva sulla tenuta dell’euro. Chi ha comprato il debito portoghese sei mesi fa, ottenendo un rendimento molto superiore a quello che avrebbe ottenuto con quello tedesco, era quasi certamente conscio dei rischi.

 

La richiesta della Germania di un haircut cui contribuiscano anche i privati è abbastanza inattaccabile. Il taglio del debito, in questo contesto di bassa crescita, sembra l’unica ipotesi realistica, oltre alla scomparsa dell’euro. Rimane solo da capire quanto costerà, chi pagherà e quale sarà lo scotto che dovranno pagare gli stati salvati: dettagli non propriamente secondari.

E l’Italia? Prima che si accorgano di noi toccherà a Portogallo e Spagna. È abbastanza difficile capire quanto tempo occorrerà, ma la crisi sta accelerando e non di poco. Non vorremmo essere nei panni del fortunato possessore straniero di debito italiano, che deciso ad approfondire la vicenda non troverà nemmeno una riga sui giornali su come l’Italia voglia fronteggiare la situazione.

 

Bocchino ieri dichiarava: “M rendo conto che bisogna fare delle riforme istituzionali, la riforma della legge elettorale, la riforma del Fisco, un grande provvedimento economico e sociale”. Basterà per rassicurare i mercati?