Il primo commento a caldo dei mercati sulle ultime vicende politiche italiane è stato gratuitamente fornito da un’agenzia di rating internazionale. Martedì nel mezzo della bufera dello scandalo “Ruby”, con le ormai note conseguenze del caso, anche Standard & Poor’s nel report con cui ha confermato rating e outlook sul debito sovrano italiano ha espresso la propria opinione sulla situazione politica italiana.

Che a pochi giorni dall’inizio dello scandalo S&P decida di accennare all’instabilità politica dell’attuale governo è un segnale abbastanza inequivocabile che a interessarsi del futuro governo Berlusconi non ci siano solo Fini e Bersani. A parte i soliti e comprensibili timori sul livello di debito statale e sulla bassa competitività del sistema, tra cui le rigidità sul mercato del lavoro, l’agenzia di rating mette l’accento sulla “crescente fragilità dell’attuale coalizione di governo”. Per l’agenzia di rating questa instabilità solleva due elementi di preoccupazione: il primo riguarda una maggiore difficoltà a implementare riforme strutturali che aumentino la competitività e la crescita; il secondo riguarda la prosecuzione delle misure per ridurre deficit e debito.

L’instabilità politica sarà sempre percepita come un rischio per gli investitori per la inevitabile dose di incertezza che porta con sé; per motivi più che comprensibili la propensione a investire diminuisce sensibilmente quando le regole in cui ci si deve muovere non sono chiare o peggio cambiano continuamente; tra l’altro l’Italia da questo punto di vista ha sempre offerto molto poco ai player internazionali.

In realtà su questo tema occorre fare una precisazione non secondaria. Gli investitori “sani” che portano sviluppo e crescita potrebbero sottoscrivere parola per parola i concetti di S&P sui rischi dell’instabilità; gli speculatori, i soggetti più spregiudicati che nessuno vorrebbe trovarsi come socio, creditore o semplice compagno di viaggio trovano nell’incertezza e nell’instabilità il regno più fertile per i guadagni, le operazioni e le acquisizioni dai ritorni più esaltanti. Questo scenario è la vera terra promessa, la possibilità di realizzazione dei sogni più incredibili per quanto di peggio si possa trovare sui mercati finanziari: la speculazione sulla lira a inizio anni Novanta o la politica di dismissione delle partecipazioni statali in quel periodo sono un ottimo esempio. Per questo l’incertezza attuale è comunque un aspetto di cui tutti dovrebbero preoccuparsi.

La seconda osservazione dell’agenzia di rating è altrettanto utile per capire cosa si rischia. È inutile dire che l’attuale contesto economico è molto diverso dal normale. Fino a ora l’Italia è sostanzialmente rimasta ai margini dei timori che i mercati avevano sulla tenuta dei debiti sovrani. Nonostante l’elevato deficit anche nei momenti peggiori della crisi, per diverse ragioni, tra cui anche l’azione dell’attuale governo, il debito italiano è rimasto al riparo dagli scossoni più violenti.

La prospettiva di un’agenzia di rating è naturalmente sbilanciata sul debito e non è nemmeno il caso di dilungarsi troppo sulle conseguenze che ci potrebbero essere se un’eventuale recrudescenza della crisi avvenisse senza un governo forte che possa prendere decisioni rapide e magari impopolari. Poniamo per puro caso che il peggio sia passato e che un po’ di ripresa e bassi tassi di interesse facciano svanire completamente i timori sul debito. Anche in questo caso è abbastanza facile capire che i radicali cambiamenti provocati dalla crisi richiedono riforme che aumentino rapidamente la competitività del Paese in un momento in cui i vecchi equilibri economici, i vecchi rapporti di forza finanziari tra Stati sono messi in discussione. Se l’Italia vuole rimanere nell’elite economica-finanziara globale non può perdere tempo e occasioni. Almeno bisognerebbe farsi la domanda sui costi/benefici di mesi di totale stasi politica.

 

Ci sarebbe poi un ultimo punto che non si potrà mai trovare in nessun report di alcuna agenzia di rating. L’Italia nei confronti dell’Europa e dei mercati si presenta con alcune evidenti colpe. L’Italia infatti ha un debito troppo alto, un tasso di crescita troppo basso e durante la crisi non sembra aver fatto diligentemente tutti i compiti a casa; sicuramente è in difetto rispetto al competitor più naturale della parte più importante dell’economia nostrana, la Germania, che invece ha fatto tutto quello che doveva fare come crescita e come debito e che ora aspetta che gli altri finiscano di fare i propri “compiti”.

 

Vista l’aria che tira a livello europeo sulle regole da rispettare in tema di riduzione del deficit, della spesa e quant’altro, la caduta del governo in questo momento delicato potrebbe essere vista come l’ennesima prova del fatto che gli italiani non siano in grado di badare a se stessi, mentre il livello pauroso del debito è una minaccia e riguarda ogni stato europeo. Il concetto è questo: visto che siete stati cattivi, che non siete stati in grado di risolvere i vostri problemi e non avete nessuno che abbia un minimo le idee chiare e visto che ci state mettendo in difficoltà, adesso fate come dice l’Europa senza fiatare.

 

Nessuno si permetta di sollevare dubbi se il modello o la strategia che va bene alla Francia o alla Germania sia adatto anche all’Italia oppure se questa o quella riforma siano per forza nell’interesse di medio-lungo periodo del Paese. La prospettiva nemmeno troppo campata per aria sarebbe quella di un commissariamento soft in stile Grecia, o magari anche meno soft visto che noi siamo 60 milioni e i Greci poco più di 10.

 

Chi scrive non è tra quelli che pensano che l’Italia sia sempre peggio degli altri, e vede come un difetto grave quel provincialismo estremo per cui gli altri e tutto quello che fanno è migliore di quello che si fa al di qua delle Alpi; una sindrome che, paradossalmente, affligge, spesso irreparabilmente, chi si crede particolarmente internazionale e illuminato. Una cosa però è giusto invidiare ed è la capacità di “fare sistema” indipendentemente dalle fazioni quando si tratta di preservare il bene comune. In ogni caso, come sempre, si può decidere tutto purchè siano chiari fin dall’inizio i rischi che si corrono.