Il Natale è ormai prossimo ed è periodo di regali; i più ritardatari leggeranno con angoscia questo ennesimo pro-memoria che pone di fronte all’ineluttabilità dei propri doveri. Tra i regali inaspettati, ma solo fino a un certo punto, l’ennesimo “prodotto cinese”; questa volta niente di rinchiudibile in un pacco regalo con annessi nastri e nastrini. Ieri il vice-premier cinese Wang Qishan ha dichiarato che la Cina è disponibile a dare il proprio supporto alle misure prese dall’Unione europea e dal Fondo monetario internazionale per salvare alcuni Paesi europei e stabilizzare i mercati finanziari.



Se qualcuno nutriva dei dubbi sulla capienza dei fondi di fronte al salvataggio del Portogallo (ieri i credit default swap hanno allargato di dieci punti base a 490) e soprattutto della Spagna, per non parlare dell’Italia, potrebbe aprire anzitempo lo spumante e brindare alla tenuta dell’euro o quanto meno all’allungamento delle sue speranze di vita.



Non ci addentriamo in analisi sul paradosso di un’economia, quella cinese, che in un certo senso ci potrebbe salvare con gli stessi soldi con cui abbiamo contribuito a crearla, né sui timori di rallentamento della crescita del colosso asiatico (abbastanza probabile), o su quelli relativi alla bolla immobiliare cinese. Argomenti molto interessanti che meriterebbero un’analisi a sé stante. Per il momento basta e avanza cercare di capire se di fronte a tanta generosità disinteressata si debba coltivare qualche sospetto.

La Grecia è stata salvata con 110 miliardi di euro, 30 miliardi li ha messi il Fondo monetario internazionale e 80 l’Europa; l’Italia ha contribuito con circa 5 miliardi e mezzo di euro (la Germania con 8,4 e la Francia con 6,3). L’unica cosa certa di questo prestito è che, in qualsiasi modo la si voglia vedere, non rivedremo mai tutti i nostri soldi. La Grecia, che ha l’economia a pezzi, non riuscirà mai a restituire il 100% dei soldi presi a prestito.



Per chi ha dimenticato l’episodio, giusto per dare un’idea di cosa si sta parlando, ricordiamo che a fine giugno il governo greco fu costretto a smentire ufficialmente la notizia, riportata dal Guardian, che lo Stato avrebbe dovuto vendere le isole per far fronte al debito.

Il salvataggio irlandese è costato solo 85 miliardi di euro; 45 dall’Unione europea, 22,5 dal Fmi e 17,5 dal fondo pensione irlandese. In questo caso si possono nutrire speranze maggiori, ma sinceramente anche l’Irlanda, che pure ha un’economia molto più vivace e uno Stato più snello, sembra davanti a un compito improbo. Nella migliore dell’ipotesi a qualsiasi tavolo si siederanno saranno sempre considerati parenti poveri; il risultato più probabile è essere costretti in futuro a trattare da una posizione di minoranza, in cui si dipende dalla bontà del creditore.

Ci sono situazioni in cui si sceglie il proprio creditore e si dettano le condizioni; di norma questo accade quando si tratta da una posizione finanziaria di forza in cui sono molti i soggetti disposti a concedere il credito; le situazioni in cui si è obbligati ad accettare il creditore non sono mai piacevoli per la semplice ragione che il pagamento eccede un valore monetario e insieme ai tassi di interesse si paga cedendo in parte o del tutto il controllo sui propri destini.

 

Per il momento l’Europa, sempre che abbia senso parlare in questi termini e non si debba invece parlare di Germania più, forse, Francia, è riuscita a risolvere i problemi da sola. Avere un creditore europeo per alcune economie lascia comunque un certo spazio di manovra per le innumerevoli relazioni economiche e politiche che legano i Paesi membri.

 

Non si sta parlando di alta ed eterea finanza. In questi giorni una public company italiana, Prysmian, ha lanciato un’offerta sull’olandese Draka. Una società cinese, Xinmao, ha lanciato una contro-offerta superiore e tutta cash. La conclusione della vicenda non è imminente, ma quello che importa è che il governo italiano ha esercitato una moral suasion sulle istituzioni europee per evitare che un patrimonio tecnologico europeo finisca in mano cinese. Non risulta che i cinesi finora abbiano ceduto il controllo di risorse o attività strategiche a gruppi stranieri.

 

Al di là del caso specifico, se la Cina mettesse molte decine di miliardi per salvare l’euro, risulterebbe molto difficile poi fare gli schizzinosi, i risentiti o gli inflessibili di fronte a quelle che sarebbero nient’altro che legittime aspirazioni e contropartite economiche. L’entrata o l’uscita dall’euro o la sua salvezza deve essere sempre oggetto di un’analisi costi benefici. Ovviamente questo vale per l’Europa in generale e per ogni singolo Paese in particolare, soprattutto se molto indebitato. Essere troppo indebitati nel momento sbagliato è già un problema di per sè, se poi si rinuncia a un minimo di lungimiranza e di accortezza i problemi diventano tragedie (greche).