Nella penultima puntata della saga Telecom Italia ci eravamo lasciati dicendo che di solito con le operazioni di finanza straordinaria difficilmente si crea valore e che anzi spesso a qualcuno rimane il cerino in mano e il conto da pagare per tutti. All’inizio di questa settimana abbiamo appreso di un possibile piano che, con dismissioni e acquisizioni varie, consegnerebbe al mercato una Telecom Italia splendente e più in salute che mai.

Il piano che come per magia riuscirebbe in questo intento prevedrebbe la cessione di tutte le partecipate estere e delle attività non strettamente connesse alla telefonia, l’acquisto delle reti dei concorrenti e una Telecom concentrata sull’infrastruttura.

Il piano, così come viene descritto (in realtà su questo ultimo punto è molto fumoso), eliminerebbe uno a uno tutti i problemi di Telecom Italia, ma, a ben vedere e molto prima di arrivare al nodo rete, sembra ci siano alcuni grossi equivoci da chiarire.

La cessione delle controllate estere abbatte il debito, ma ovviamente abbatte anche l’utile operativo. Non si capisce davvero quale vantaggio finanziario si avrebbe a incassare i soldi della cessione del Brasile (la controllata estera di gran lunga più preziosa) se si perdono i guadagni (i più “promettenti” oltre tutto) che la presenza in quel Paese garantisce. Per fare un esempio immediato è come se ci annunciassero un taglio del mutuo del 20% e un taglio dello stipendio definitivo esattamente identico.

Si avrebbe come risultato l’80% dei debiti, ma anche solo l’80% dei soldi a fine mese; nessuno correrebbe a stappare lo champagne. L’unica ipotesi per cui con questa operazione ci sarebbe da festeggiare e se si trovasse qualcuno disposto a strapagare la controllata brasiliana; un’ipotesi che a priori non è da escludere, ma che difficilmente può essere ritenuta realistica; tanto meno ci si può basare su un colpo di fortuna per un piano industriale. In conclusione la cessione delle controllate estere può sicuramente essere parte di una strategia ma di certo di per sè non crea valore per nessuno.

 

Poi ci sarebbe la parte relativa all’acquisto delle reti di alcuni o di tutti i concorrenti per creare un’unica rete nazionale. Qua si tratterebbe di un favore che Telecom Italia farebbe alla collettività (forse), perché il senso industriale di usare soldi per comprare un bene di cui già si possiede un perfetto sostituto (la rete proprietaria di Telecom) sfugge a qualsiasi logica industriale e finanziaria. Telecom userebbe soldi veri per comprare un’infrastruttura che sarebbe assurdo mantenere un secondo dopo l’acquisto, dato che si darebbe al cliente lo stesso servizio di prima pagando il doppio dei costi.

 

Telecom Italia poi si dovrebbe concentrare sull’infrastruttura, regalando al Governo un potere di controllo di fatto sul futuro monopolio della rete. Gli adepti della ingegneria finanziaria teorizzano almeno sul valore che si creerebbe dando vita a due società diverse: una sarebbe una società con ricavi regolamentati (quella delle rete) e perciò più stabili adatta a investitori con una bassa propensione al rischio.

 

La natura “stabile” dei ricavi consentirebbe un forte livello di indebitamento che sarebbe spacchettato in misura più che proporzionale, rispetto alla società dei servizi. Quest’ultima a sua volta con meno debito competerebbe alla pari con i concorrenti presenti sul mercato italiano.

 

Abbiamo fatto la premessa degli adepti, perché invece i più fini interpreti dell’ingegneria finanziaria con totale disillusione non capiscono dove starebbe la creazione di valore se i ricavi più “pregiati” (perché più stabili) sono caricati di più debito, mentre la società rimanente avrebbe certamente meno debito ma anche ricavi più volatili e soggetti alla concorrenza.

 

La premessa di una divisione tra rete e servizi è necessaria perché diversamente la società col monopolio della rete e i servizi avrebbe vita breve di fronte alle incontestabili rimostranze della commissione europea e dei concorrenti.

 

Escluso il break up delle due società, dopo la cessione delle partecipate estere l’unica alternativa sarebbe la conservazione dello status quo con in proporzione più debito (dopo l’acquisto delle reti dei concorrenti) e con il “successo” di essersi messi sotto l’ala protettiva e rassicurante dello Stato sotto forma di ricavi e investimenti regolamentati.

 

Questo è l’esito non scritto del piano tutto italiano di Telecom che da domani mattina verrà inserito di diritto tra le opzioni sul tavolo da analisti e commentatori. Siccome questo piano non pare essere stato congegnato per la creazione di valore industriale né nel breve né nel lungo periodo, ieri gli investitori hanno pensato bene di far fare al titolo un sonoro -2.7% (il titolo peggiore del FTSE/MIB).

 

Questo piano probabilmente piacerà a chi crede nello Stato e nelle banche imprenditrici e in una società tutta e solo italiana in un mondo di operatori regionali, tutti gli altri, dai piccoli azionisti in su, sono già ora legittimati a farsi prendere dal panico e a riporre le proprie uniche speranze in una fusione ben congegnata con Telefonica.