Per motivi molto diversi Unicredit si è guadagnata le prime pagine dei giornali per due giorni di fila, costringendo tutti o quasi a occuparsi della più internazionale tra le banche italiane. La priva volta martedì quando, suo malgrado, Unicredit è finita al centro delle attenzioni per una presunta possibile uscita dal gruppo dell’ad Profumo; la seconda ieri, dopo la comunicazione dei risultati del 2009 a Londra.
Prima di continuare anticipiamo per i più distratti che ieri Unicredit ha fatto registrare un rialzo di oltre il 6%; un evento piuttosto inusuale per società di queste dimensioni. Anticipiamo anche che i risultati per quanto buoni (e come vedremo sono chiaramente positivi) possono spiegare solo in parte questo rialzo.
Il mercato si attendeva già molti segnali positivi dai dati 2009, ma tra avere delle aspettative, per quanto probabili e ragionevoli, e avere conferme nei numeri c’è un’indubbia differenza; il mercato ha avuto la conferma che attendeva con maggiore trepidazione ed è stato rassicurato sull’andamento delle rettifiche su crediti.
Per il secondo trimestre di fila le rettifiche su crediti (la parte più sensibile allo stato dell’economia reale) sono diminuite (2,1 miliardi di euro) dopo il picco registrato nel secondo trimestre (2,4 miliardi di euro). Se le imprese hanno meno difficoltà a ripagare i crediti significa che quanto meno il peggio è alle spalle e che qualche miglioramento (seppur minimo) è effettivamente in atto.
A questo aggiungete che non sono emersi particolari problemi sui temi più caldi (gli attivi in pancia a HVB e Bank Austria) e che il mercato comincia a scommettere su una ripresa imminente della Russia e dell’est Europa dove Unicredit è presente in modo massiccio.
Questa però è la parte più “scontata” del rialzo di ieri e non bisogna farsi illusioni sul fatto che i risultati possano da soli aver condotto a questa performance. La notizia del giorno sarebbe invece la rassicurazione di Profumo sulla sua permanenza all’interno del gruppo. Usiamo il condizionale volutamente perché al momento i dubbi non sono completamente fugati.
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Martedì il titolo sbandava visibilmente sulle speculazioni di un possibile addio dell’ad che stava per cadere di fronte all’opposizione delle fondazioni al suo progetto di riorganizzazione della presenza in Italia. Non più una struttura decentrata con più banche locali ma la costituzione di una banca unica sotto la guida di tre manager centrali. UniCredit Banca, UniCredit Corporate, UniCredit Private, Banca di Roma e Banco di Sicilia si dovrebbero fondere in un’unica entità.
Il problema è che per quanto Unicredit sia la banca italiana con la maggiore presenza sui mercati internazionali, i ricavi in Italia rappresentano ancora il 50% del totale; i soggetti fondatori sono le fondazioni che costituiscono ancora il nocciolo duro dell’azionariato e Unicredit con una quota di quasi il 9% è il principale azionista singolo di Mediobanca. La guida di Profumo ha reso Unicredit una protagonista della finanza continentale sia per mercati di riferimento sia per uno “stile di gestione” che vuole essere internazionale e non “nostrano”, ma l’italianità del gruppo è ancora molto pronunciata.
In estrema sintesi, il progetto di riorganizzazione accentrerebbe il potere sotto l’ad e toglierebbe spazio agli azionisti storici. Un progetto che non può non piacere a chi è abituato alla public company inglese trasparente e osservante delle regole del mercato con i manager nominati dal mercato, slegati da quelli che sarebbero azionisti espressione di localismi clientelari, nefasti e sorpassati. Per questo gli investitori internazionali premiano o puniscono il titolo quando una società sembra essere preda di logiche estranee ai mercati finanziari.
Il punto ora è capire se la vicenda che ha inquietato le notti degli investitori si può o meno ritenere conclusa. Il fatto che il progetto sia passato indenne al comitato strategico non è molto significativo dato che la maggioranza dei membri non può essere considerata espressione delle fondazioni. Rimane invece completamente lo scoglio del cda del 13 aprile in cui le fondazioni potrebbero chiedere una modifica alla governance con la nomina di un direttore generale (gradito) per l’Italia, o chiedere altre modifiche sostanziali.
Se questo dovesse avvenire ci potrebbe essere un muro contro muro che potrebbe anche portare alle dimissioni dell’ad. Si deve prendere atto delle dichiarazioni rassicuranti di Profumo di ieri, ma non si possono ignorare alcune criticità che rimangono preoccupanti. D’altronde le situazioni mutano e non sarebbe la prima volta che un manager è costretto dalle circostanze a smentirsi.
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A proposito di fondazioni e dintorni, la sicurezza con cui si denuncia l’“anomalia locale e italiana” è invidiabile. Il modello inglese ha molti punti di forza, ma dopo anni di complessi di inferiorità il sistema italiano con i suoi certamente molti difetti si è appena preso una rivincita colossale. I templi della finanza spesso sono sembrati dei sepolcri imbiancati e una rapida scorsa all’attuale azionariato di alcune delle più rinomate banche inglesi dovrebbe quanto meno consigliare un po’ di prudenza. Un altro sguardo che non farebbe male si potrebbe dare ai bilanci di alcune banche tedesche grandissime o locali.
Infine, è ancora apertissima la domanda su alcuni conflitti di interesse giganteschi che sembrano essere rimasti intatti nelle maggiori banche d’affari internazionali. Basterebbe socchiudere il coperchio per trovare vicende piuttosto discutibili (a voler essere molto buoni), ma evidentemente certe cose se fatte in inglese o in tedesco acquisiscono un fascino che l’italiano non è in grado di dare. Per il momento possiamo dire che chi comprava ieri sul +6% scommetteva forte sulla fine delle ostilità. Se invece non fossero finite (e lo sapremo con certezza solo il 13 aprile) si potrebbero aprire scenari imprevedibili.