Nonostante le elezioni, i processi, intercettazioni varie e manifestazioni pre-elettorali, ieri pagina 2 di Repubblica conteneva una piccola monografia su Fiat. Il fatto che il 21 aprile ci sia un investor day con annessa presentazione del piano industriale non sembrava un motivo sufficiente per mettere Fiat al centro dell’attenzione a pochi giorni dalle elezioni. I motivi forse li ha capiti benissimo Marchionne, che a metà pomeriggio ha definito «vergognosa» la speculazione su Fiat (ogni riferimento a fatti o cose è puramente casuale) e poi si è spinto a dire che «si sta cercando di strumentalizzare la questione dell’occupazione in Italia», aggiungendo che le anticipazioni di stampa sul piano sono prive di fondamento.
Vergognose o meno, vere o prive di fondamento, queste speculazioni hanno fatto fare al titolo un +4% in Borsa e hanno costretto tutti a discutere nuovamente delle prospettive industriali e finanziarie di Fiat (le prime non sempre coincidenti con le seconde). L’articolo agitava lo spettro di 5.000 licenziamenti per Fiat in Italia che sarebbero previsti dal nuovo piano. Se proviamo a fare un po’ di conti noi (su ciò che in realtà è già noto e stranoto) stimeremmo una riduzione di circa 3.500 persone: 1500 a Termini Imerese, 1.000 a Pomigliano, 500 a testa tra Cassino e Torino. Per quanto riguarda Cassino e Torino una buona parte dovrebbe essere costituita da esodi incentivati.
A Termini Imerese si sta cercando una soluzione che escluda un intervento di Fiat che comunque al momento continua a tenere aperto l’impianto; a Pomigliano la riduzione avverebbe con il contemporaneo trasferimento della produzione della Panda dalla Polonia (non sembra proprio un segnale di disimpegno).
La perdita del posto di lavoro è sempre un dramma, soprattutto se avviene in zone dove ricollocarsi è particolarmente difficile, però riflettere su questa riduzione senza specificare il contesto è fuorviante e scorretto. Il settore auto mantenuto artificialmente a livelli di produzione irrealistici è stato massacrato dalla crisi e non è rimasto nessuno a pensare che possa sopravvivere in modo sano senza riduzioni di capacità produttiva. Nemmeno chi si spinge alle ipotesi impossibili di nazionalizzazione potrebbe avere un’azienda efficiente senza una riduzione della capacità.
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L’obiezione che Fiat ha incassato lauti incentivi in passato non è un buon argomento quando si tratta di capire cosa fare per avere un’azienda efficiente ora, possibilmente e finalmente in grado di non dover scaricare sulla collettività le proprie difficoltà; vale quando vengono staccati i dividendi, non quando si decide di affrontare seriamente il problema di come avere una società competitiva che possa contribuire alla crescita italiana.
L’obiezione è ancora più sospetta se questo stesso gruppo ha già chiarito che la produzione in Italia passerà da 800mila vetture all’anno a un milione e cento. A Pomigliano i 5.000 dipendenti che ora sarebbero a rischio (causa produzione insufficiente) diventeranno 4.000 necessari a produrre 300mila vetture all’anno. A Termini purtroppo è dimostrato che la produzione di auto può avvenire solo con un grave danno alla competitività della società e come ovvio nel lungo periodo solo a patto di mettere a rischio gli altri lavoratori. A questo riguardo ci sembra però che si stia cercando di trovare una soluzione che accontenti Fiat e i lavoratori siciliani.
La crisi è passata come un ciclone sul settore auto e pensare che questo non abbia ripercussioni è o estremamente ingenuo o estremamente demagogico. Non è un buon argomento, ma vale la pena comunque dire che la ristrutturazione di Chrysler sta richiedendo sacrifici immensamente superiori e che ci sono gruppi che ai primi accenni di crisi hanno lasciato a casa dall’oggi al domani centinaia di persone per delocalizzare all’estero con un decimo del clamore dovuto (un esempio a caso la Sogefi a Mantova, controllata dal gruppo Cir di De Benedetti che a sua volta controlla il gruppo Espresso-Repubblica).
I mercati però si sono emozionati per l’ennesima speculazione sullo spin-off di Fiat auto che sarebbe più vicino di quanto inizialmente atteso. In estate il gruppo Fiat si appresterebbe a separare il business dell’auto da quello di Iveco e CNH. Le ragioni di questa operazione sono di due generi completamente differenti. La prima è di natura industriale e riguarda la creazione delle migliore condizioni possibili per una fusione con un altro operatore dell’auto. L’obiettivo è l’ormai arcinoto raggiungimento di sei milioni di auto prodotte all’anno da cui attualmente, anche considerando Chrysler, Fiat è lontana anni luce, soprattutto se, come pare, la ripresa vera non è esattamente dietro l’angolo.
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Una società quotata con solo l’auto renderebbe più immediata una fusione per il semplice fatto che di mezzo non ci sarebbero attività di natura completamente diversa. Ovviamente presentare una società efficiente alla fusione che verrà (perche con ogni probabilità verrà) mette al riparo da ulteriori spiacevoli esuberi.
La seconda è di ragione finanziaria. CNH con la metà del fatturato fa il triplo di utile operativo dell’auto con un quarto degli investimenti. Il business dell’auto è ultra competitivo e solo per dare un numero paga in pubblicità (circa il 5% del fatturato) quello che se va bene incassa alla fine dell’anno come margine sulle vendite. Gli Agnelli tramite Exor vogliono circoscrivere e se possibile ridurre il rischio auto. Dato che una fusione “dell’auto” è uno scenario molto probabile, ma non vicino nel tempo, con questa operazione Exor potrebbe portarsi avanti e ottenere contemporaneamente una società in grado da subito di pagare dividendi costanti (la Fiat “ex Auto”).
Poi per la gioia di azionisti e advisor ci sarebbe con ogni probabilità un’immediata creazione di valore “finanziario”. Sarebbe un caso in cui la somma del valore delle due società separate darebbe un valore superiore all’originale. Nessun mistero solo che il mercato preferisce sempre decidere autonomamente che settori mettere in portafoglio piuttosto che trovarsi di fronte a società presenti in attività diverse. Per avere il prossimo aggiornamento non servirà aspettare molto; passate le elezioni e digeriti i risultati basterà aspettare il 21 aprile per vedere se Marchionne ha altri conigli nel cappello.