Nella buriana generale che ha colpito le borse europee senza esclusioni e che ha fatto chiudere il mercato italiano con un sonoro calo del 3,28%, Fiat si è distinta con un molto più modesto e discreto -1,43%. È abbastanza difficile pensare che questa performance sia dovuta a una particolare eccellenza della società o a un settore che in un modo o nell’altro riesca a ripararsi dalla crisi.



Non occorre ribadire che né l’auto come industria, né Fiat come singola società possano svincolarsi dal generale andamento economico. Quindi o i mercati ieri sono impazziti dimenticandosi di vendere la principale società italiana, oppure ci sono ragioni abbastanza valide da tenere su il titolo nonostante la pessima giornata.



Smaltita la sbornia finanziaria di settimana scorsa vale forse ancora la pena di dire qualcosa sullo spin-off e sui progetti degli Agnelli. La tempistica dell’operazione dovrebbe prevedere il cda convocato per l’operazione a luglio e la finalizzazione dell’operazione a dicembre.

Il completamento di questo percorso non è esente da pericoli e rischi. Il primo è talmente evidente che non viene quasi mai citato e riguarda il contesto macro-economico: se ci fosse un’altra ondata di crisi o se l’economia fosse molto debole questa tempistica non sarebbe più attuabile e il management Fiat sarebbe troppo impegnato a salvare l’azienda per rimanere ore in riunione con gli advisor.



Poi ci sono diversi soggetti finanziari che potrebbero decidere di mettere i bastoni tra le ruote. Un esempio a caso potrebbe riguardare i detentori di azioni di risparmio titolati a un dividendo di almeno 31 centesimi per azione, che potrebbero chiedersi che fine farebbe questo diritto con due società al posto di una. Oppure i creditori della società che potrebbero sentirsi meno tutelati.

Sono nodi da sciogliere nei prossimi mesi, ma crediamo che alla fine verranno superati. È un convincimento che non ci deriva da un eccesso di ottimismo, ma solo dalla eccezionale opportunità di creazione di valore finanziario che potrebbe avere lo spin-off (tra l’altro ben testimoniata dagli andamenti degli ultimi giorni).

A proposito di spin-off si è detto che tecnicamente verranno “spinoffate” le attività di Cnh e Iveco, che confluiranno nella nuova Fiat industrial. Nella parte rimanente resteranno certamente Fiat auto, ma anche Magneti Marelli, il gioiellino Ferrari e alcune partecipazioni pesanti come Rcs e La Stampa. Rispetto alla nota idea di fondo dell’operazione (separare e allontanare l’auto), si può lavorare di immaginazione delineando uno scenario di medio-lungo termine.

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Non solo i tempi della finanza sono molto diversi da quelli dell’industria, ma anche i “tempi” degli azionisti di lungo periodo e di controllo sono molto diversi da quelli del mercato. È molto facile trovare investitori con un orizzonte temporale di qualche mese, è ancora abbastanza comune trovare quelli con dodici mesi di orizzonte temporale; sono abbastanza rari, ma ancora non completamente infrequenti, quelli che guardano ai due/tre anni, oltre sinceramente siamo nel campo delle rarità assolute.

 

Chi possiede per famiglia la stessa azienda da decenni ragiona con una prospettiva di lungo o lunghissimo periodo e si pone il problema di una società solida e con un modello di business sostenibile che possibilmente possa essere sempre più competitiva. Una domanda interessante potrebbe essere quella sullo scenario che gli Agnelli hanno in mente per i prossimi anni.

 

Il primo dato è che si sono messi nelle mani del manager Marchionne, decidendo di poter fare a meno di Montezemolo. Nessuno si illude dalle parti di Torino che la sfida industriale da vincere sia piuttosto importante e complessa. Prendere un gruppo con un piede e mezzo nel baratro e rimetterlo in corsa nei mercati internazionali è una missione che si realizza più in un decennio che in qualche trimestre. Per questo hanno dato a quello che è molto probabilmente il miglior manager auto tutti i poteri necessari.

 

Poi ci si potrebbe chiedere se e come gli Agnelli potrebbero liberarsi delle partecipazioni non core nell’editoria (il 10% di Rcs e La Stampa). Dato che negli ultimi anni hanno dato ben poche soddisfazioni economiche, possiamo azzardare che la convenienza sia da cercare in un accesso privilegiato al sistema dell’informazione. Se Fiat ex Cnh e Iveco si deve fondere prima con Chrysler e poi con un altro partner cosa succede alla quota di Rcs e a Ferrari di cui per motivi diversi in un’ottica di lungo periodo nessuno si vuole liberare?

 

Se una loro cessione fosse impensabile per ragioni di grande appetibilità economica (Ferrari) e di sistema (Rcs), proprio lo spin-of dell’auto e la fusione con altri partner darebbe agli Agnelli una soluzione. Riassumendo due società: una con Iveco e Cnh (la nuova Fiat industrial), l’altra (l’azione attuale) con Fiat auto, Ferrari e partecipazioni (oltre a Magneti Marelli, Teksid, Comau, ecc).

 

Exor manterebbe il 30% di entrambe ma la seconda società dopo la fusione dell’auto con Chrysler non avrebbe più il 100% di Fiat auto, ma una quota inferiore di una società più grande. La quota scenderebbe ulteriormente in caso di una partnership con un altro operatore. Si manterrebbe intatta la presa sulla parte che serve, aprendo al contempo alla possibilità di creare un gruppo più forte nell’auto (in cui Fiat abbia però un rapporto molto meno diretto).

 

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Per riassumere brutalmente, Exor si sta costruendo un futuro solido in cui si tiene il meglio e delega e allontana il peggio. Prima ci sarà il matrimonio con Chrysler, poi con un secondo partner (Mazda?), poi magari ancora più in là la cessione di Iveco, profittevole ma troppo piccola rispetto ai concorrenti.

 

Un gran bel progetto per gli investitori di breve e lungo periodo, ma solo Grecia e Pigs permettendo. Da qua a dicembre le notizie industriali non saranno clamorose e i mercati, se questo è l’andazzo, prima o poi picchieranno anche sui titoli con più appeal, ma con un po’ di fortuna e senza scenari finanziari apocalittici gli Agnelli potranno cominciare a intravedere il traguardo finale.