Nell’ultimo anno e mezzo pensavamo di aver visto tutto o quasi, dal fallimento di Lehman Brothers, considerato praticamente inconcepibile, fino ai sostanziali default di Paesi europei, come nel caso greco, passando per una tempesta finanziaria che ha messo a dura prova le principali istituzioni del globo.

Nonostante questo, eravamo impreparati a vedere in un solo colpo un rialzo di oltre l’11%, accompagnato da rimbalzi da fantascienza su cui spiccava, giusto per fare un esempio, il +21% di Unicredit, non la cassa di risparmio provinciale ma una delle maggiori banche retail d’Europa.

Cosa sia successo tra le paurose sospensioni al ribasso di giovedì e venerdì e il rialzo di ieri è in un certo senso la minore delle questioni che la giornata lascia aperte. Domenica, evidentemente contrariamente alle aspettative del mercato, gli Stati europei hanno varato un pacchetto da 600 miliardi di euro (440 dagli Stati europei, 100 dal FMI e 60 dalla BCE) per sostenere gli Stati europei che saranno messi sotto attacco dalla speculazione: l’effetto annuncio è stato visibile oltre ogni dire.

Fino a settimana scorsa i mercati finanziari si stavano avvitando e non si vedeva cosa potesse interrompere il meccanismo perverso che stava mettendo in crisi i debiti sovrani; gli speculatori infatti trovavano terreno fertile in una situazione che, a prescindere da qualsiasi valutazione sulla malafede di agenzie e investitori, era e rimane fortemente critica.

Si devono però distinguere due piani diversi. Il primo è quello del panico dei mercati, il secondo è quello dei problemi enormi che rimangono sul tavolo.

Il panico dei mercati non è un fenomeno confinabile al particolare mondo finanziario, non si può isolare, né tanto meno è indipendente dai tentativi di soluzione dei problemi. In altre parole un mercato finanziario così come l’abbiamo visto fino a venerdì scorso aggrava e fa precipitare la situazione, non lascia il tempo alle autorità di agire.

È una lezione che il fallimento di Lehman ha spiegato in modo inequivocabile. Il fallimento di Lehman ha ampliato drammaticamente gli effetti della crisi finanziaria e reale. Ristabilire un minimo di fiducia, prendere del tempo è vitale. La lentezza con cui è stato fatto con Lehman ha avuto costi ingenti. Il panico finanziario generale fa crollare anche quello che potrebbe non crollare e ha un impatto devastante sulle aspettative dei risparmiatori e degli imprenditori.

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La decisione di domenica ha evidentemente restituito un minimo di certezza al mercato con gli effetti che abbiamo visto. La speculazione, se i soggetti, anzi il soggetto che ha deciso domenica (la Germania) terrà duro, troverà davanti a sé una reazione. Shortare i debiti sovrani o l’euro diventa molto pericoloso e forse per qualche mese anche sconsigliabile, se ci sono miliardi di euro pronti a comprare.

 

Così sentenziava il report con cui ieri mattina Morgan Stanley raccomandava (dopo averlo sconsigliato per settimane) ai propri clienti di acquistare azioni: “Quando le autorità cominciano ad andare in panico, i mercati possono smettere di essere in panico”. A questa affermazione faceva seguito la precisazione che le azioni delle autorità verranno monitorate attentamente. Nessuno è stupido a Londra e tutti sanno che al minimo accenno di debolezza o di tentennamento, sempre dietro l’angolo visto l’esito elettorale in Nordreno-Westfalia, la speculazione, in malafede o buonafede che sia non importa, tornerebbe alla carica.

 

E qua arriviamo al secondo piano e per spiegarlo prendiamo sempre a prestito le parole dello strategy di Morgan Stanley (quelli che qualche mese fa avevano previsto con largo anticipo l’hung parliament a Londra). Non è vangelo e diffidiamo di chiunque in questa situazione ci venda certezze finanziarie, ma ha l’indubbio merito di descrive in maniera diretta e quasi brutale la situazione.

 

Nello stesso report in cui si raccomanda l’acquisto di azioni è contenuto un outlook di medio periodo che suona decisamente sinistro. Più o meno si dice che le crisi bancarie e i salvataggi precedono le crisi del debito sovrano, che l’ammontare di debito non è stato ridotto (ma solo passato di mano da banche e governi) e che, venenum in cauda, le valutazioni delle azioni non hanno mai raggiunto i minimi.

 

Insomma il consiglio, come si dice, è tattico e durerà, come vi dirò solo alla fine, solo per un certo lasso di tempo, poi bisognerà affrontare i problemi che questo pacchetto da 600 miliardi ha momentaneamente messo sotto il tappeto. Nessuno si illude che i soldi nascano dal nulla; la mole di debiti degli Stati è spaventosa e senza precedenti e i debiti prima o poi si pagano.

 

Già si è capito che al pacchetto di domenica seguirà una revisione del trattato di Maastricht: un modo gentile per dire che d’ora in poi i conti statali “allegri” sono vietati e che bisognerà rientrare del debito a tappe forzate: come? Fiscal pain diceva Citigroup alla fine di aprile. I broker quando il gioco si fa duro sanno essere molto chiari.

 

L’unica via di uscita vera nel medio-lungo periodo è quella solita quando si hanno troppi debiti: gli Stati devono ripristinare la sostenibilità finanziaria alzando le tasse o tagliando la spesa (o tutte e due). I debiti devono essere pagati pena l’instabilità totale. Non solo la finanza ha creato per sé una ricchezza virtuale, ma ha creato prodotti con cui molti hanno potuto vivere al di sopra delle proprie possibilità.

 

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Adesso tutti, sia i colpevoli che gli innocenti, procederanno al trasferimento dalla ricchezza privata a quella pubblica. Si spera che questo avvenga con tagli di spesa o con la tassazione delle rendite finanziarie piuttosto che indiscriminatamente. Nella migliore delle ipotesi e se tutto andrà bene l’intervento di domenica ha creato un lasso di tempo in cui mettere mano seriamente ai conti statali, il cui assestamento richiederà anni e impatterà negativamente sulla crescita e infine sulle borse. Nella peggiore delle ipotesi e se qualcosa va male ognuno verrà lasciato al suo destino.

 

A proposito di Morgan Stanley, da quelle parti pensano in un anno e mezzo scarso di sollievo poi, forse nel 2012, ci sarà la prossima recessione degli utili (quando gli Stati avranno messo mano restrittivamente alle finanze?), ma il timing è tutto e per ora credono che il mercato possa continuare a tirare (certo non ai ritmi di ieri).

 

Infine Moody’s, campione della ricerca indipendente, ieri sera ha dichiarato che “Spagna e Italia sembrano colpite dal contagio partito dalla Grecia”, ma che “non c’è in programma a breve un intervento sul rating”. Quindi riassumendo giovedì mattina per Moody’s “il potenziale contagio poteva diffondersi all’Italia”, venerdì l’agenzia sente il dovere di correggersi dicendo che no “l’Italia non è tra i paesi più a rischio”, mentre lunedì (dopo il pacchetto da 600 miliardi) l’Italia è stata contagiata.

 

Scegliete voi: non sanno che le loro sono profezie autoavverantesi, lo sanno ma se ne disinteressano (dando l’impressione di comportarsi in modo imperdonabilmente goffo e impreciso), lo sanno e si comportano di conseguenza. In alternativa vale la frase cruda di Berlusconi, che con la solita mancanza di tatto ha detto quello che in realtà pensano in molti in Italia e ancora di più fuori dall’Italia: “Le agenzie di rating hanno ormai perso ogni credibilità”.