Le analisi sull’Italia che arrivano dalla stampa anglosassone sono sempre da prendere con le molle; spesso parlano delle nostre pecche con il tono saccente di chi non ha nulla da rimproverarsi; la realtà dei fatti è molto più articolata di come spesso ci viene presentata dall’Economist e dal Financal Times.
Dopo anni di prediche sull’inadeguatezza del nostro sistema bancario per esempio, le critiche, a partire dai fatti di Northern Rock (e poi proseguiti coinvolgendo una parte preponderante del sistema bancario inglese) sono diventate molto più timide. I risparmiatori italiani non sono stati ricoperti di prodotti dubbi e le nostre banche, che di certo non corrispondono al credo finanziario-liberista, hanno attraversato il 2008 e il 2009 con preoccupazioni infinitamente minori di altri.
In ogni caso leggere che cosa pensino di noi nel Regno Unito e in particolare cosa si scriva sulle colonne del Financial Times (splendido quotidiano secondo la modestissima opinione di chi scrive) è, soprattutto in questo contesto, un compito non evitabile per chi voglia avere un quadro completo della situazione.
Ieri mattina la mitica “lex column” del Financial Times conteneva un leggero quanto significativo commento sulla finanziaria approvata dal Governo. Non c’era il solito insostenibile tono con cui spesso vengono trattate le vicende italiche; sui mercati finanziari per la verità negli ultimi mesi l’Italia è riuscita, in parte, a svincolarsi dai pregiudizi alla “mandolino del capitano Corelli”.
Si è scoperto che le famiglie italiane non hanno debito, che molte possiedono la casa in cui vivono, che il risparmio è a livelli ancora robusti e che anni di esperienza con un debito elevato hanno reso l’Italia in grado di gestire situazioni di emergenza; infine negli ultimi mesi le politiche fiscali prudenti e mai espansive del governo hanno rassicurato i mercati sulla volontà di tenere sotto controllo i conti.
Così perfino il Financial Times ha ammesso che in realtà la crisi finanziaria ha lasciato l’Italia abbastanza indenne, relativamente a quello che è accaduto da altre parti. In questo contesto per il quotidiano inglese la finanziaria da 24 miliardi di euro di risparmi è arrivata in ritardo ed è di misura abbastanza modesta anche se non irrilevante. Quello che sui nostri quotidiani viene normalmente considerato uno sforzo titanico oltre manica è solo una correzione tutto sommato moderata (1.6% del pil).
L’accusa che però pare difficilmente contestabile è un’altra. I tagli di spesa sono sicuramente positivi ma l’Italia avrebbe sprecato l’ennesima opportunità di fare riforme strutturali in particolare per quello che riguarda il mercato del lavoro. La fortuna o la bravura che ci hanno caratterizzato finora potrebbero non durare per sempre.
Nonostante il debito sia stellare la nostra posizione finanziaria non è così fragile come potrebbe sembrare dice sempre l’FT confermando l’impressione che non ci troviamo di fronte alla solita predica dei supposti buoni contro i cattivi. Il successo o meno dell’Italia nel gestire le crisi sui debiti sovrani che verranno è decisiva per i mercati finanziari europei, così come è decisivo che l’Italia possa cominciare a crescere a ritmi non anemici per fugare ogni dubbio sul suo debito.
Si legge tra le righe senza particolari sforzi di interpretazione che gli scossoni sui debiti cui abbiamo assistito non sono finiti e saranno la vera sfida dei governi non per i prossimi mesi ma per i prossimi anni. Una finanziaria che sistema, forse, i prossimi 18 mesi è positiva ma non illude nessuno, tanto meno i mercati, sul fatto che i problemi in realtà rimangano sul tavolo.
Il pericolo vero è non rendersi conto che ciò che abbiamo dato per scontato come tenore di vita è a rischio se nel 2011 ci ritroveremo, come pare, con un debito pil superiore al 120% in un mondo dove a poche centinaia di chilometri dai nostri confini si lavora di più, meglio senza sprecare risorse miliardarie e senza un apparato statale che è il massimo della spesa e il minimo dell’efficienza, mentre a qualche migliaia di chilometri ci sono eserciti di persone (constatiamo i fatti) disposte a lavorare il doppio per molto meno della metà.
Non ci sembra che patrimoniali sui fondi immobiliari, emersioni delle case fantasma, riduzioni delle finestre per le pensioni e congelamenti temporanei degli stipendi degli statali siano esattamente riforme di sistema; così come i tagli degli stipendi dei parlamentari e di altri dirigenti pubblici possono essere ripresi con un tratto di penna appena si esce dal pericolo imminente. Il problema non è in realtà italiano perché sui mercati finanziari è dato ormai per pacifico che il vero malato economico del mondo è l’Europa, indebitata e senza crescita. Gli Stati Uniti che pure se la passano molto male hanno un’economia estremamente più reattiva e flessibile della nostra.
In un certo senso la principale sfortuna dell’Italia, uno stato costosissimo e inefficiente, è la più grande opportunità. È meglio acquisire le aziende che funzionano male perché si pagano poco ed è facile migliorarle. Così i margini di miglioramento sono talmente ampi che non occorrono colpi di genio per “estrarre valore”.
Se la finanziaria passa nonostante lobby, corporazioni varie, schiere di privilegiati con stipendi al di fuori di ogni ragionevolezza (qualcuno si faccia un giro tra le imprese del nord-est, del nord-ovest, del centro e del sud please), e la CGIL (ci piacerebbe sapere quanti sono i pensionati e i dipendenti pubblici sul totale degli iscritti), potremmo dire di avere guadagnato sei mesi di respiro per fare le riforme vere e magari con i tagli mettere i presupposti per poter anche investire.
In alternativa tra qualche mese ci ritroveremo su queste colonne per discutere del rischio Grecia sempre più vicino e di forme sempre più fantasiose di prelievo per allontanarlo di qualche settimana ancora.