Il -4% con cui hanno chiuso ieri le borse è servito se non altro a costringerci a rifare il punto sugli appuntamenti prossimi venturi dei mercati. Potremmo aggiungere ovviamente che è servito a chi si era messo short sui mercati scommettendo su una loro discesa, ma l’esercizio di guardare indietro per scoprire chi tra gli investitori è stato bravo e chi no sinceramente diventa, col passare del tempo, sempre più noioso.

Il pretesto da cui è partito il calo è stato ieri l’indice di fiducia dei consumatori americani crollato a 52.9 a giugno contro il 62.7 di maggio e attese di 62.8; si può usare il termine pretesto perché il calo di ieri, così brusco e diffuso tra i titoli, è solo l’ennesima prova dell’incertezza che domina sui mercati; movimenti di questo tipo non si spiegano in contesti di mercato “normali”.

Da un certo punto di vista l’analisi è molto più semplice di quello che potrebbe apparire; al momento non c’è un singolo dato che possa testimoniare una ripresa vera. Possiamo citare per esempio l’aumento delle esportazioni in Italia e in Germania, ma quando sul mercato del lavoro non si vedono miglioramenti di sorta è veramente difficile parlare di una vera inversione nell’economia.

La fine del peggioramento va bene e sicuramente lo scenario è migliore di dodici mesi fa, ma una ripresa, se vogliamo usare questo termine improprio, così anemica con i debiti sovrani così alti non potrà mai lasciare tranquilli. Infatti come si è visto ieri gli investitori non sono tranquilli e sono iper reattivi ai segnali macroeconomici.

Se ci fosse una ripresa vera, che comunemente viene fatta coincidere con un miglioramento del mercato del lavoro, molte preoccupazioni potrebbero rientrare dato che il compito di messa in sicurezza delle finanze statali diventerebbe meno arduo. Diversamente avremmo un ambiente macroeconomico non sufficiente forte e una mole di debiti elevata da ripagare: una situazione fluida, che può portare a ondate di panico finanziario se intervenisse qualche elemento che possa minacciare un equilibrio così precario.

 

Semplificando a costo di apparire brutali: posto che con questo livello di crescita ci vorranno molti anni e molti sacrifici per uscire dalla crisi economica, se qualcosa va male con i tassi a livelli infimi e gli stati indebitati ai massimi storici non ci sono più cartucce da sparare per rimediare a eventuali scossoni.

 

Se questa è la tesi è abbastanza comprensibile che il mercato sia volatile e reattivo ed è altrettanto certo che non è una situazione destinata a risolversi a breve.

 

Siccome in questo momento vanno di moda o le previsioni a breve/brevissimo o quelle macro economiche di lungo, ci rifugiamo in questa piccola nicchia di mercato con meno competizione di un orizzonte temporale di qualche mese al massimo, dimenticandoci sia di quello che succederà nei prossimi anni, sia di quello che leggerete oggi sulle prime pagine dei giornali economici. Il tutto per avere un’idea di massima di cosa possa succedere fino alla fine dell’estate.

 

Intanto il -4% di ieri conferma che uno dei focus del mercato è la salute del sistema economico americano. Ieri è stata la volta dell’indice della fiducia, domani avremo un altro banco di prova con un’altra schiera di dati tra cui quello fondamentale sul’occupazione americana (il numero di richieste di sussidi verrà reso noto giovedì alle due e mezza ora italiana).

 

Tutti cercano disperatamente di capire qual è la qualità e la forza della ripresa negli Stati Uniti, un dato che smentisca l’ipotesi sempre più credibile che si sia di fronte solo alla fine del peggioramento. Lo scenario al momento più probabile è che per i prossimi mesi non si avranno nè miglioramenti decisivi né a peggioramenti drammatici.

 

 

Ovviamente spostare in là indefinitamente il giorno della risposta è un bel modo di dire che la ripresa vera non c’è e che bisogna cominciare a pensare che lo scenario attuale (negli USA e in Europa) ci accompagnerà per un bel pezzo. In ogni caso chi si attende peggioramenti traumatici nei prossimi mesi potrebbe “rimanere deluso”.

 

L’altro evento dei prossimi mesi, la stagione delle trimestrali (da metà luglio negli USA proseguendo poi in Europa), non dovrebbe infatti portare cattive sorprese. Le società industriali potranno sfruttare pienamente i piani di ristrutturazione e efficientamento portati avanti nell’ultimo anno e a parità di ricavi avranno margini migliori; in Europa gli esportatori avranno dalla loro un tasso di cambio col dollaro nettamente più favorevole. Per le banche il problema non sarà questa trimestrale.

 

Quello su cui ci si rompe la testa sono gli effetti che avranno sul sistema bancario le riforme che i Governi stanno decidendo per il settore finanziario. A parte la pubblicazione degli stress test, che in questa fase nessuno si azzarderebbe a fare se non fossero rassicuranti, non ci sono elementi per ritenere che riforme del sistema finanziario possano essere approvate a breve.

 

Quale possa essere la redditività futura delle banche dopo la crisi è ancora un mistero che non autorizza a scommesse forti, tanto è vero che da almeno sei mesi le banche continuano a fare peggio del mercato.

 

Nei mesi che ci separano dall’autunno l’attenzione maggiore sarà di nuovo sui debiti sovrani, con crisi di fiducia che potrebbero colpire i Paesi più fragili. Il tema rimane la minaccia più seria alla relativa tranquillità di queste ultime settimane. Le ultime dal campo danno ormai per inevitabile un taglio del debito della Grecia e rimane solo da capire quando arriverà effettivamente.

 

 

Ieri mattina, prima dell’uscita dei dati americani, si era già allargato lo spread tra BTP e Bund e nel corso della giornata i cds sul debito spagnolo era aumentato sensibilmente. Sono queste le notizie che faranno la differenza tra un’estate movimentata e pericolosa e una di relativa tranquillità.